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Sognando il bosco veneziano

Sognando il bosco veneziano

(Grazia Palmisano, Il Piccolo, 28 dicembre 1999)

 

Storia impastata di odio, di prepotenti abusi, di bastarda miseria: e quasi a contrastare tutto ciò, un poetico respiro che pur sprigiona talora dalle pagine del libro, sì da rendere vivida e affascinante la visione e la presenza del Montello, con i suoi sentieri che, inoltrandosi nella foresta, assumono l’aspetto di gallerie, mentre d’inverno, con la neve, la collina, tutta bianca, sembra dormire.

Una umanità dolorosamente mortificata, quella ritratta da Mazzocato. E se Ireno e sua moglie Gemma, in quell’estate del 1848, allorché i soldati requisirono dalla loro casa il legname portato via dal Montello, capirono che neppure alla loro generazione “sarebbe toccato il privilegio di riprendere possesso della collina proibita”, ecco che il figlio Beniamino dopo aver perduto la moglie nella tragica inondazione del Piave nel 1882, decide di partire con Teofilo alla volta del Brasile.

Ma in quel grande affresco che è “Il bosco veneziano” si muovono anche altri personaggi: ciascuno con il proprio fardello, le illusioni e la tenace speranza di poter tornare.

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