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Mazzocato, quel grillo parlante della veneticità

“Mazzocato, quel grillo parlante

      della veneticità”

(scritto da Alberto Leoncini, ABC Veneto, 02 maggio 2005)

 

Parlare di Gian Domenico Mazzocato a Treviso e nel Veneto, significa menzionare un noto, affermato ed apprezzato scrittore, che può vantare grande successo di critica e di pubblico (ricordiamo il grande successo del suo primo romanzo “IL DELITTO DELLA CONTESSA ONIGO” e di una della sue piece teatrali “MATO DE GUERA”), ma soprattutto che sovrasta di svariate spanne la mediocrità intellettuale della provincia nostrana. Viene allora da domandarsi da dove scaturisca questo successo. Leggendo “GLI OSPITI NOTTURNI” (Ed. Santi Quaranta, 2001- € 11,00 www.giandomenicomazzocato.it), la risposta si evince con chiarezza: Mazzocato è, per un veneto medio, un grillo parlante, che può essere schiacciato chiudendo i suoi libri, o ascoltato meditandoli.
Le storie narrate sono verosimili, perfino banali, se narrate per sommi capi, ma sta proprio all’abilità narrativa di Mazzocato, portare il lettore a provare forti sentimenti di partecipazione ed immedesimazione con lo scorrere della storia.
L’attenzione rimane alta, visto che vengono sovente utilizzati espedienti che vivificano il testo, come ad esempio, il procedere su vari piani di lettura intersecati e inframmezzare la trama centrale con abili e virtuosistiche descrizioni, indirizzate a particolari oggetti, paesaggi, personaggi, che danno un sapore tutto particolare al complesso del testo.
La prosa di Mazzocato fonde abilmente elementi comuni di tradizione popolare e finezze intellettuali, che gli consentono di crearsi una nicchia letteraria ed un suo stile, da apprezzare in quanto tale, senza permettere di stabilire con precisione i suoi auctores.
Qual è, tuttavia, l’utilità di un libro del genere? Farci trascorrere qualche ora? Sarebbe triste se questa fosse l’utilità dei libri in genere e di questo in particolare, perché ci scuote dalla vacuità del nostro attuale frangente, riportandoci a riflettere sulle nostre radici, che credo debbano essere recuperate nella loro autenticità, abbandonando la mentalità: “i nostri veci gavaria deto che…”, per approdare alla ben più profonda consapevolezza di venire da una matrice comune e, soprattutto, accomunante.
Mazzocato sa fare magistralmente il suo compito “sociale”: riesce sempre a scuotere, ad indurre alla riflessione e a far trarre delle conclusioni a ciò che ci fa leggere, senza però e questo è secondo me il suo più grosso salto di qualità, cadere nella piaggeria, nella retorica, nella prosopopea o peggio nel qualunquismo. E riesce in questo perché fa partecipare gli altri a ciò che scrive, ma ne sta fuori lui. Non vuole provocarci la lacrimuccia, presto evaporata, vuole scuoterci nel profondo, vuole insomma recuperare quel filo rosso della tradizione capace di forgiare il nerbo delle persone. Sa infatti essere duro, asciutto, a volte angosciante, mantenendo però le redini e il filo del racconto e gestendolo secondo il suo volere: come un giocatore che sa muovere le pedine sulla scacchiera.
Questi racconti sembrano quasi dei frammenti riesumati da uno scavo archeologico, dove sta alla sensibilità del lettore trovare un filo logico ed un insegnamento, tuttavia la pregnanza espressiva è posta, paradossalmente in contrasto con un voluta indefinitezza dei contorni della storia, che sovente sono presentati con tratti allusivi e chiaroscurali, con un sottofondo agrodolce, sotto la scorza amara.
Con questa raccolta, scaturita da spunti autobiografici, l’autore ha formulato un paradigma di un’identità, esaminandone i caratteri primari, ormai alienati o, nella migliore delle ipotesi ridotti a sostrato. Credo che chiunque possa rispecchiarsi almeno in uno dei personaggi del libro, non perché si vedano in giro individui del genere, piuttosto perché questi si prefigurano come allegorie dei caratteri pregnanti della nostra cultura.
La lettura di questo libro credo possa essere indicata a tutti, seppur sia necessario essere nell’animo giusto per farlo e per confrontarsi con una realtà che viene considerata come uno “scheletro nell’armadio”, da tener chiuso con doppia mandata.

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