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Lazio Pasqua 2007
LAZIO TRA COLLINE E LITORALE TRA MEDIOEVO E CLASSICITA’

PASQUA 2007

1500 kilometri, alla ricerca dell’inedito e del poco noto. O almeno del non reclamizzato e fuori dai circuiti, come dire, abituali. Vacanza splendida con Egle, mia moglie, e una coppia di amici, ormai gli stessi da molto tempo, Edda e Danilo. Ne devo spendere anche il cognome, perchè lui, Danilo Mason, è poeta che comincia ad affermarsi. Scrive in dialetto e canta i valori semplici e fondamentali dell’esistenza: la solidarietà, la tolleranza, la collaborazione, la pace, la necessità di avere ideali, l’impegno, la fatica. Dai nostri viaggi e dalle emozioni codivise trae spunti. Siccome, tra l’altro, è stato rugbista di non poco valore (prima linea della squadra trevigiana che vinse il titolo nel 1978), il rugby torna anche nella sua poesia: metafora e immagine dei valori in cui crede . Il suo ultimo libro ‘Na Giossa de Speransa è un piccolo gioiello. Lui va in giro, si fa accompagnare da questo o quel musicista, legge le sue cose. Io penso a lui come ad un moderno cantastorie. È bravo, bravissimo. La gente veneta gli vuole bene. Tutto quello che vende (e vende molto) va in beneficenza. Tre anni fa è stato in Mozambico a scavare pozzi e a portare il denaro dei suoi libri.

Devo dirla, questa cosa, perchè fare la strada con lui è viaggiare con una persona solida, di buon senso, aperta al nuovo e ad un tempo riflessiva. Con lui e sua moglie, si sta bene assieme. In tutto 5 giorni passando da uno scorcio fluviale incantevole ad un paesetto abbarbicato sui contrafforti della montagna, dai reperti onnipresenti della classicità romana ad un medioevo scolpito nelle mura e nelle chiese, leggibile nei vicoli e sulle case.

Marcia di avvicinamento sulla E 45, la Cesena-Orte insomma. La prima notte la passiamo nel paesino di Santo Stefano: trovato a caso, è la prima uscita sulla superstrada. Me lo ripeto ogni volta e mi sa che questa volta mantengo la promessa. La E 45 non la faccio più, è una strada indegna di un paese civile, soprattutto nel tratto emilianoromagnolo. Quando poi la si lascia (ma quando durerà la deviazione sul Verghereto?) il viaggio diventa un incubo: buche, fondo sconnesso, stato di abbandono e negligenza diffuso. Sì, proprio una strada da terzo mondo. Una vergogna nazionale.

Perugia, Todi, Narni. Poi direzione Rieti. Dall’alto si ammirano le bellezze dei laghi: Piediluco, Ripa Sottile, Lago Lungo. A Rieti (uscita Rieti Est) imbocchiamo la Salaria con le indicazioni per Ascoli/Aquila in direzione Avezzano. Da qui direzione Sora, poi Frosinone, infine eccoci sulla statale 156 per Latina. La nostra prima meta è vicina.

ABBAZIA DI FOSSANOVA PRIVERNO

L’abbazia di Fossanova risale al IX secolo ed è ritenuta la prima fabbrica italiana di tipologia cistercense. Imponente, inserita nella parte antica del borgo. Il rosone e il portale dominano la piazza. Si tratta di un complesso articolato e importante, peccato che sia possibile visitarlo solo in parte per i lavori di restauro in atto. Il locale in questi mesi adibito al culto è l’antico refettorio che si apre nella parte est, direttamente sul chiostro. Campeggia -i riti pasquali incombono- bello e isolato, il crocifisso coperto dal drappo viola della penitenza. Dietro è la Foresteria in cui morì il 9 marzo 1274 Tommaso d’Aquino. Ce lo ricorda un busto moderno, voluto dall’amministrazione locale. Il luogo è di grande fascino, si respira aria di tempi perduti e si percepisce però anche il moderno, il nuovo.

Passiamo la notte nel comodo parcheggio e al mattino visitiamo la vicina Priverno (o Piperno, come suonava un tempo il suo nome, prima di recuperare la dizione latina). Tito Livio racconta di un evento prodigioso accaduto da queste parti: dal terreno sarebbero sorti dei fiocchi di lana scura. Non è difficile rendersi conto di come nascano queste leggende: i greggi si incontrano spesso, ti circondano il camper e ti costringono a fermarti. Transumanza perenne. Cittadina graziosa e ospitale, Priverno: da queste parti ospitalità e gentilezza sono, del resto, regola. Parcheggiamo allo stadio (località San Lorenzo, su un contrafforte del picco su cui sorge Priverno). Troviamo di che rifornirci di acqua. La Cattedrale è di forme gotico-cistercensi. Si erge, preziosa e bella, al sommo di un’ampia scalinata. Il porticato, che risale al Duecento, è l’unico resto della primitiva costruzione; tutto il resto è stato riedificato nel Settecento. Vicino alla chiesa, sulla sua destra, il Palazzo Comunale. Inutile dire che da queste parti ogni luogo è buono per acquistare gli straordinari prodotti locali: formaggi (l’immancabile e inimitabile mozzarella di bufala, provole e caciocavalli) e ortaggi (i carciofi vengono offerti da venditori che si trovano ad ogni angolo). E il pane, naturalmente. Qui ogni luogo ha una sua particolare pagnotta, un peculiaree impasto. E ogni volta è un gusto e un piacere diverso.

SEZZE

Ai 319 metri di Sezze si sale dalla statale 156. Ci si avvicina alla città e il panorama, mano a mano che si va verso l’alto, è di quelli che non si dimenticano: la pianura che va trovare confine nei monte Lepini, uno slargo per gli occhi che spaziano fino al mare. Sulle pareti, veri e propri muri di fichi d’India. Sezze è raccolta, tranquilla. I Romani vi dedussero una loro colonia già agli inizi del IV secolo avanti Cristo. Vi sono ancora lacerti delle antiche mura. Sezze è servita da un grande parcheggio proprio a due passi dalla piazza centrale e lì passeremo la notte (è il piazzale dove si tiene anche il mercato settimanale). Ma è già tempo di visita. Ed è anche il tempo dell’attesa: la sera del venerdì santo qui va in scena una mirabile sacra rappresentazione. Il nome di Sezze deriverebbe dalle setole del leone di Nemea: la città vanta infatti come fondatore l’uccisore della feroce belva, Ercole. Il Duomo (sul lato di una ariosa terrazza da cui si ammira la pianura) è romanico, ma rivela, soprattutto all’interno, tutti i rimaneggiamenti cui è stato sottoposto. È bello perdersi nei vicoletti a saliscendi e immaginare come sarà la processione della sera. Spettacolo indimenticabile. Circa 600 figuranti, 43 quadri diversi (dalla figura di san Carlo di Sezze, a episodi biblici, alla vita e alla resurrezione del Cristo), 2 kilometri di percorso ad abbracciare tutta la città, quasi 3 ore di suggestione pura. Ad ogni piazza i vari gruppi danno vita al loro quadro: tutti partecipano, tutti sono coinvolti. La tradizione è relativamente recente: iniziò nel 1933 Filiberto Gigli e poi la sacra rappresentazione di Sezze è cresciuta fino alla realtà odierna. Regia rigorosa, costumi curati, apporti diversificati: dalle confraternite al coro che commenta la passione. Non solo uno spettacolo suggestivo ed emozionante, ma anche patrimonio culturale. Già nel 1950 De Gasperi la definiva “decoro ed edificazione” dell’Italia. Da non perdere.

TERRACINA

Teraccina l’austera, con i suoi imponenti resti romani, il suo duomo e il suo campanile tanto diverso dalla basilica, la sua torre frumentaria. E i suoi gatti, le sue stradine, i negozietti degli artigiani che si affacciano sulla via. Troviamo parcheggio in una piccola area di sosta all’ingresso della città. Ma chi vuole soggiornare più a lungo o magari passarvi la notte trova tutto lo spazio necessario nella zona del porto. Dedicato a san Cesario, il duomo risale al XII secolo. Vi si accede da un’ampia scalinata e un portico sormontato da fregi musivi. Anche qui le viuzze invitano a camminare e a ficcare il naso. Ma il luogo dei luoghi è il sovrastante tempio di Giove Anxur i cui resti imponenti sorgono sul monte Sant’Angelo. Di lassù si vedono Zannone, Ponza e il Circeo. E si abbraccia con lo sguardo l’intera pianura pontina. Anxur (parola che forse significa “imberbe”) era una antica divinità volsca poi identificata col Giove etrusco e romano. E del resto Anxur era il nome antico di Terracina. Raggiungiamo la sommità del monte Sant’Angelo con l’autobus della linea L, visitiamo le poderose arcate del tempio, ci riposiamo un po’ nella giornata di sole e vento Poi torniamo a piedi.

SPERLONGA

Sperlonga, un gioiello incastonato sopra la sua splendida spiaggia. Stradine e scalette tutte imbiancate dalla calce, le terrazze sul mare dal disegno particolarissimo e decorate da ceramiche: un invito a fermarsi e a chiudere gli occhi. O a spalancarli sulla bellezza straordinaria che abita in questo borgo antico. A impreziosirlo la grotta di Tiberio: qui ha risieduto a lungo il secondo imperatore e vi ha costruito una villa/palazzo di cui ancora rimangono i segni in riva al mare. La grotta era abbellita da gruppi scultorei che sono stai ricostruiti sulla base dei pochi frammenti rinvenuti e collocati nell’adiacente museo archeologico. Vi fa da padrone Ulisse, il cui mito viene rievocato nel momento di accecare (sono questi i luoghi e il mare) Polifemo, il gigante dall’unico occhio. Qui vicino sorge l’oasi di presidio per la cura delle tartarughe marine. Noi raggiungiamo la villa di Tiberio non via terra ma con una lunga passeggiata sulla spiaggia. Il camper lo avevamo parcheggiato con molta cura come sempre facciamo per essere rispettosi di obblighi e divieti. Ma non avevamo visto il cartello che limitava il parcheggio ai veicoli di altezza inferiore ai 2 metri e 10. Troviamo la multa sotto il tergicristallo. Con un po’ di rabbia: non davamo fastidio a nessuno e proprio non era nostra intenzione contravvenire. Certe cose sanno di imboscata lontano un miglio: visto che c’erano parcheggi liberi e non occupavamo spazi preziosi a scapito di altri, un po’ di tolleranza non avrebbe guastato. Si dice che Tiberio abbia lasciato Sperlonga arrabbiato per un crollo nella sua grotta. Noi lasciamo Sperlonga arrabbiati per lo smacco di essere stati colti in fallo, non volendo sbagliare. Abbiamo fatto la spesa, pranzato, acquistato ricordini e spedito cartoline. Non basta: dovremo versare qualche euro alla cassa del comune. I camperisti portano soldi, trattarli così… La notte la passiamo a qualche kilometro, nel porto di Formia che ha spazi immensi.

GAETA E MINTURNO

Le ultime due tappe, prima del ritorno. È il giorno di Pasqua e splende un sole magnifico. A Gaeta una gentilissima vigile ci indica lo spazio gratuito riservato ai camper, proprio a due passi dal centro. Sul lungomare Caboto si prende la laterale che conduce al santuario della madonna della Montagna Spaccata e si imbocca la salitella di fianco al bar Chiar di Luna. Poco più in là anche la gradita sorpresa di un mercatino dell’antiquariato e dell’hobbistica. Si tratta, ovviamente, e ci sono prezzi ottimi. Gaeta, vuole la leggenda, deriva il suo nome dalla nutrice di Enea, che l’eroe fuggito da Troia avrebbe sepolto proprio su questa spiaggia. La città è dominata dal castello che si raggiunge attraverso le stradine del borgo medievale. Un vero peccato che l’imponente chiesa dedicata a san Francesco (ha conosciuto diverse traversie ed è stata perfino adibita ad ospedale) sia in restauro e non visitabile. La nostra attenzione è allora catturata dal bel campanile a tre piani e dal sottostante duomo sulla cui facciata convivono bene tratti romanici e gotici. All’interno della chiesa la colonna del candelabro pasquale, capolavoro duecentesco e alla base del campanile decorazioni a bassorilievo: su due di esse si racconta la vicenda di Giona prima inghiottito e poi divorato dal pistrice (questo è il nome che leggiamo nella didascalia -si tratta di un mostro marino ben noto alla letteratura- anche se nella bibbia non è cenno alcuno al tipo di pesce che divorò il profeta). Il pranzo pasquale è in una trattoria in riva al mare (da Calpurnio). Deliziosa una pasta corta di grano duro fatta in casa, gli scialatielli: viene servita con polpo, radicchio e mandorle grossolanamente frantumate. Una gioia.

Il pomeriggio lo dedichiamo al parco archeologico della vicina Minturno, la romana Minturnae. Qui, una importante campagna di scavi, iniziata nei primi anni Trenta, ha portato alla luce un complesso poderoso che ebbe vita florida e prospera nei secoli, fino a quando i Longobardi non distrussero la città alla fine del VI secolo. Sono riemersi tratti delle antiche mura, gli spazi di più fori e di tre templi. Su tutto domina il teatro ancor oggi usato per spettacoli vari. Una selezione dei reperti archeologici si trova nel vicino museo. Una bella conclusione per il nostro giro, molto importante.

Per il ritorno ci indirizziamo verso Cassino dove imbocchiamo la Roma-Firenze. Per la notte usciamo a caso e troviamo tranquillità e ospitalità in un paesino appeso alla montagna, Ponzano Romano (in piazzetta Da Pinedo).

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