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LAGO D’ORTA, IL GIOIELLO

(aprile 2017)

Il lago d’Orta è lungo e stretto. Coi suoi 18 chilometri quadrati, è il penultimo, per dimensioni, dei grandi laghi alpini. Ed è l’unico che ha l’emissario… dalla parte sbagliata.
Cioè a nord invece che a sud. Il Cusio (questo il nome antico, l’etimologia è oscura) raccoglie acque da minuscoli torrenti dal corso breve e quasi sempre povero. Scarpia, Pellino, Plesna, Qualba, Fiumetta, Pescone.
Ma… lago d’Orta o lago San Giulio? L’interrogativo è antico. Nel 1757 a Orta e Gozzano fiorì un movimento favorevole all’annessione del territorio al Piemonte. Dunque via tutto ciò che sapeva di potere dei vescovi, che avevano mano pesante nell’imporre gabelle e tributi. Niente più Riviera di San Giulio, ma Riviera d’Orta. Oggi, per non sbagliare, la piccola capitale (lato orientale del lago, giusto a metà) è denominata Orta San Giulio.
(Del resto pare proprio che Cusius, Cusio, derivi da una cattiva lettura della Tabula Peutingeriana dove compare un lacus Clisius la cui esatta identificazione è discussa).

ORTA, I GIARDINI

Ma è certo trasparente l’origine del nome Orta, un plurale del termine latino che indica il giardino.
Sbarchiamo, Egle ed io, col nostro camper nel camping Verde Lago e non tardiamo a comprendere la verità assoluta del nome. La prima passeggiata sul lungolago ci fa esplodere davanti agli occhi i mille colori delle azalee (mai viste tante varietà diverse, l’una accanto all’altra), le camelie, prati di narcisi. Cespugli, alberi interi. E le cascate profumate dei glicini, le macchie impenetrabili di rododendri.
Sulle acque del lago, indorate dal sole, una scuola remiera svizzera ha portato i suoi giovani atleti per uno stage. Solo il rumore delle onde e i comandi secchi e ritmati del capovoga. Alle nostre spalle la parrocchiale di Pettenasco in pietra scura. Nella chiesa dedicata a santa Caterina assisteremo ai riti pasquali.
Il nostro campeggio è piccolo e raccolto. Del resto in riva ad un lago gli spazi sono quelli che sono. Lo ha messo in piedi un baldo valligiano, Attilio Vitale, qualche anno fa. Ora lo gestisce il figlio Enrico, ma Attilio è il nume tutelare che gira in continuazione nei vialetti per vedere se serve qualcosa. Il turismo qui è soprattutto svizzero e tedesco. Sui prati danzano le anitre in amore. Il corteggiamento per accarezzare le penne sul petto delle signorine, movimenta un bel numero di maschietti. Vengono a beccarti i bocconi di pane dalle mani. Al centro del campeggio c’è il ristorante pizzeria Al cormorano. Spaghetti con le vongole, proprio buoni.
Nel tramonto, davanti a noi, sulla sponda occidentale, Egro, Pella, Colma, Grassona. Macchie bianche nel verde delle colline.
Il campeggio sorge proprio alla foce del Pescone. Si diceva: l’emissario che va da sud verso nord, contraddicendo tutte le regole dei laghi prealpini. Un breve torrente, la Nigoglia, che va a gettarsi nello Strona, a sua volta affluente del Toce, immissario del lago Maggiore. Una sola acqua, dunque, in qualche modo. Più d’uno, da queste parti, i fiumi denominati Strorna, probabilmente da una radice celtica che significa appunto fiume, acqua che scorre.

TERRA DI LEGGENDE E DI MOSTRI

Terre, queste, di gentili leggende antiche e di pietà. Furono evangelizzate alla fine del IV secolo da due fratelli greci, Giulio e Giuliano, originari dell’isola di Egina. Inviati dall’imperatore Teodosio I, combatterono la loro battaglia contro il paganesimo, abbattendo templi e costruendo chiese. Giuliano edificò a Gozzano la novantanovesima chiesa. Giulio si mise alla ricerca del luogo in cui sarebbe sorta la centesima. S’innamorò della piccola isola al centro del lago ma non aveva i soldi per pagare un traghettatore. Allora stese il suo mantello sull’acqua e raggiunse l’isola sfiorando le onde. Qui lottò contro draghi e serpenti, mostri demoniaci che infestavano il luogo. Immagini del paganesimo. E qui sorse la basilica che è a lui dedicata e conserva le sue spoglie mortali.
Val d’Ossola, terra di antifascismo e libertà, anche. Monumenti e lapidi ai martiri del riscatto dagli oppressori sorgono ovunque. Nel cimitero monumentale che sovrasta Orta, all’inizio del Sacro Monte, colpisce l’iscrizione che ricorda Paolo Cavarra fucilato dai fascisti il 29 marzo 1945. Aveva vent’anni.
La serata in riva al lago è molto dolce.

ORTA, IL SACRO MONTE

Al mattino seguente prendiamo il battello per Orta. Vicino a noi c’è un luogo che si chiama, guarda caso, L’Approdo. Attorno vi è sorto un bell’albergo ed è la nostra fermata. Peccato che vi siano pochissime corse nell’arco della giornata.
Qualche minuto soltanto per raggiungere il bel centro in riva al lago. Si sbarca nella piazza dedicata a Mario Motta, “martire della libertà”. Su un lato spicca la Casa della Comunità (detta anche il Palazzotto) col suo ampio porticato, antica sede municipale e ora salone per le cerimonie. Le pareti esterne sono affrescate. Da una finestra ammicca, ma è appunto solo un dipinto, una malinconica figura di fanciulla.
Si cammina per gli stretti vicoli. Si entra nelle botteghe che vendono pasta di molte fogge e molti colori, incredibili quantità di funghi secchi e l’immancabile amaro del luogo.
Ci inerpichiamo sulla ripida salita della Motta che sale proprio dalla piazza omonima verso la chiesa di santa Maria Assunta, con la facciata opera di Carlo Nigra, edificata nel 1485 e ricostruita nella seconda metà del XVIII secolo. Sulla destra della chiesa parte la strada erta verso il Sacro Monte dedicato a San Francesco. Una bella statua in bronzo lo raffigura mentre parla agli uccelli che gli volano attorno.
Il Sacro Monte inizia la sua storia nel 1590, quando Amico Canobio, giureconsulto e abate commendatario del monastero di San Bartolomeo di Vallombrosa a Novara, decise di raccontare la vita del santo di Assisi in un luogo storico, caro agli abitanti del luogo. Dove cioè sorgeva l’antica chiesa dei santi Nicolao e Francesco. Le cappelle costruite nel tempo evidenziano il mutamento dei gusti e delle sensibilità. Le fresche rappresentazioni originali, poi il barocco e il rococò.
Il Sacro Monte di Orta fa parte del gruppo dei nove Sacri Monti alpini in Piemonte e Lombardia considerati patrimoni dell’umanità dall’UNESCO. È l’unico interamente dedicato a un santo soltanto. In foto presento la nascita di san Francesco, opera importante di Cristoforo Prestinari (1605 circa) che si trova nella prima cappella.
Sul Sacro Monte di Orta hanno operato artisti come Dionigi Bussola, Giovanni d’Enrico, Giovanni Battista e Giovanni Mauro della Rovere detti i Fiammenghini, Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone, Antonio Maria Crespi detto il Bustino. Poi, nel tempo, lavorarono i fratelli Carlo Francesco e Giuseppe Nuvolone, Stefano Maria Legnani, Carlo Beretta e Federico Bianchi.
Tra i visitatori illustri del Monte, Friedrich Nietzsche che qui amò una ragazza russa, Lou Andreas Salomè, come racconta in un suo romanzo del 2001 Laura Pariani. Amore non corrisposto, pare, in questa che è una delle poche esperienze femminili note del rievocatore delle parole di Zarathustra.
Si sta bene in riva al lago e sui monti che lo circondano.
Anche perché Egle ed io siamo raggiunti da nostra figlia Miriam e da suo marito Maurizio. Miriam ed io ci facciamo ritrarre nella biforcazione di una singolare scultura in riva al lago. Una gigantesca fionda pronta a scagliare un sasso lontano. Ci pare di buon augurio.

SAN GIULIO, LA MISTICA

La vigilia di Pasqua è dedicata alla visita dell’isola di san Giulio.
Le guide la definiscono mistica. Alcuni cartelli celebrano il valore del silenzio, in stridente contrasto con la marea di turisti vocianti che i motoscafi di linea riversano in continuazione sul piccolo molo.
È minuscola, appena 650 metri di perimetro. Ma di un fascino immenso nonostante il frastuono dei visitatori. Ha ispirato scrittori e cineasti. Giuseppe Tornatore vi ha girato molte scene del film La corrispondenza (2016, recentemente visto in TV, con Jeremy Irons e Olga Kurylenko). Film piuttosto dimenticabile ma l’isola (che nella narrazione filmica diventa Borgo Ventoso) è protagonista assoluta. Qui è ambientato anche il romanzo breve di Gianni Rodari C’era due volte il barone Lamberto (ovvero I misteri dell’isola di San Giulio). E all’isola è dedicato il finale di Numero zero, ultimo romanzo di Umberto Eco.
Troneggia l’abbazia benedettina Mater Ecclesiae. Il monastero ospita anche un laboratorio di restauro e un centro di ricerca e studio sui tessuti antichi. Uno stretto vicolo percorre tutta l’isola, costeggiando le antiche case dei canonici. Una casa appartenne a Cesare Augusto Tallone, costruttore di pianoforti artigianali e accordatore di Arturo Benedetti Michelangeli.

IL PEGGIO E IL MEGLIO
(PEGGIO) Conversazioni surreali quelle con i responsabili del camping Orta, la nostra prima scelta vista la vicinanza al centro. Ci premuriamo di prenotare un mese prima. “Prenotiamo solo per periodi da una settimana in su, ci telefoni due giorni prima, vediamo di sistemare tutto. Sa, sono le nostre regole”.
Già, le regole. Ci adeguiamo e, seguendo le regole, telefoniamo due giorni prima. Nulla da fare, non si prenota. Ma… e le regole? “Se al cliente non piacciono, può fare altre scelte”. Cazzolina. Gentilezza, fermezza, irremovibilità. Dico (la telefonata sarà durata un quarto d’ora, la nostra interlocutrice è cortesissima, simpatica e perfettamente ammaestrata): “Guardi che io non voglio prenotare. Mi dica l’importo per quattro notti e mi dia le sue coordinate bancarie. Tra un minuto ha il bonifico fatto”. Due cose proprio diverse. Più restia a smuoversi del Sacro Monte, tuttavia. Decido di farle saltare i nervi: “Mi pare però che lei fatichi a elaborare il concetto, tra pagare in anticipo e prenotare la differenza è totale. E i rischi restano tutti e solo miei”. Devo ammettere: regge alla provocazione con grande classe. Disperato, faccio un ultimo tentativo. “Le lascio il mio numero di telefono, quando vede il suo titolare gli chieda se capisce la differenza”. Mai più, mai più. Sto ancora aspettando la telefonata. Poi ripieghiamo (mai scelta al buio fu più fortunata) sul simpatico e accogliente Verde Lago.
(MEGLIO) Il giorno di Pasqua capitiamo all’Osteria San Martino (03231975177, info@osteriasanmartino.it), nel piccolo borgo di Crabbia, sulle colline, appena sopra Pettenasco. Chiesa dedicata a San Martino. Sulla strada un bel capitello, opera di Mauro Maulini (2012). Cortesia e simpatia del personale attorno allo chef Sebastiano, il quale ci sorride un “benvenuti” che da solo vale un aperitivo. Ambiente intimo, cucina incentrata sui sapori tipici della gastronomia piemontese rivisitati con innovazioni creative. Da visitare il sito per dare un occhio al menù (http://www.osteriasanmartino.com). Io ordino una calamarata con frutti di mare alla curcuma. Poi una “lavagna” (proprio così, ti servono su una lastra di ardesia) di formaggi: tutte tome locali più un caprino fresco. Da accompagnare alle confetture di prugnette e mirtilli (entrambe rigorosamente fatte in casa). Prosecco di benvenuto, poi un perfetto barbera d’Asti (Soliter, Pescaja). Un gran bello stare a tavola.

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