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IL PICCOLO LIBRO DEGLI DEI E DEGLI EROI GRECI

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(EDITORIALE PROGRAMMA, 162 pagg., progetto grafico e illustrazioni di Marialetizia Pivato, coordinamento editoriale di Angelo Pastrello, euro 7,90)

ALLA RICERCA DEL VELLO D’ORO,
LA STORIA DI OGNI ALTRA STORIA

Saliamo su Argo, la nave bellissima e veloce. È stata costruita nei famosi cantieri di Pagase con legno stagionato proveniente dal monte Pelio. La spingono cinquanta robusti rematori, due per panca. Atena in persona ha scolpito la polena da un unico blocco di quercia che viene dai boschi della città di Dodona, sacra a Zeus.
Mettiamoci per mare con Giasone e Argonauti.
Mai prima d’ora una così nobile compagnia si è imbarcata per una impresa navale. Cinquanta guerrieri, figli di re e di dei.
Tra loro, il poeta Orfeo. Il suo canto ammalia ogni cuore. Quando le dita sfiorano le corde della lira, l’armonia invade l’anima. Ed Eracle, l’uomo più forte che il mondo abbia mai visto.
Perfino una donna, la splendente Atalanta che ha anche una missione personale. Vuole dimostrare a suo padre, il re arcade Iasio, di valere come un figlio maschio. Alla nascita, suo padre l’aveva abbandonata sul monte Pelio. E lei era cresciuta selvaggia, allevata da un’orsa.
Partiamo con loro.
Siamo i cavalieri della Tavola Rotonda e di Artù alla ricerca del Graal. Siamo i paladini di Carlo il Grande, Orlando, Oliviero, Ruggero. Siamo i pirati di Mompracem, Macbeth ed Enrico V, Dante e Boccaccio. Ci troviamo all’interno delle favole di Jacob e Wilhelm Grimm, nel magma travolgente e surreale di Lewis Carroll, nei miti raccolti da Ludwig Bechstein, nei mondi incantati e favolosi (eppur così veri) di Aleksandr Sergeevic Puskin e di Joseph Rudyard Kipling.
Il Kalevala finnico e Il canto della schiera di Igor slavo.
Perché, narrando Giasone e gli Argonauti, troveremo ogni altro racconto. Ogni altra storia.

ORACOLI, MORTE E SANGUE
Tutto parte da Iolco, antica città della Tessaglia, Grecia centro-orientale. Oggi uno dei più piccoli comuni greci, qualche centinaio di abitanti.

Un tempo famosa, soprattutto per la sua fondazione, a opera di Creteo, figlio di Eolo. Qualche versione del mito scomoda la paternità di Poseidone. Pelia (lui sì, sicuramente figlio di Poseidone) strappa il trono di Iolco al fratellastro Esone, legittimo re. Fa strage nella nobiltà locale e salva unicamente Esone, ma solo perché è posseduto dalla passione per la madre del fratellastro, Tiro.
Polimela, moglie di Esone, ha dato al re spodestato un figlio, Diomede. Destinato a morte certa, scampa grazie a un sotterfugio. Polimela fa piangere le sue ancelle sul corpo immobile del figlio, come se fosse morto. Poi di nascosto lo porta fuori della città. Lo alleverà il buon centauro Chirone, il maestro di Achille ed Enea.
Diomede cresce. Assume il nome di Giasone (Ιάσων, vuol dire il taumaturgo, colui che guarisce). Lo ritroviamo già adulto, sulla spiaggia di Iolco. Si celebra un solenne sacrificio a Poseidone, presieduto da Pelia. Che però ha la mente preoccupata dal responso di un oracolo.
Deve guardarsi da un uomo calzato da un unico sandalo. E c’è in effetti, nel gruppo dei partecipanti, un ragazzo che ha un solo calzare. L’altro sandalo lo ha perso traghettando, sulle acque di un fiume in piena, una vecchietta. Che in realtà è Atena, adirata perché Pelia non la venera con i dovuti sacrifici. Prepara vendetta. E vendetta sarà anche se in là nel tempo.
Pelia si avvicina. Lo provoca: “Che faresti se vedessi un uomo che un oracolo ha descritto come tuo assassino?”. Giasone dà una risposta inattesa (ma è Atena che gliela mette sulle labbra): “Lo manderei alla ricerca del Vello d’oro”. Si fa riconoscere.
E, in tutta tranquillità, chiede che gli sia restituito il trono usurpato.

IN VOLO SUL MONDO
Pelia è stanco di sangue e di orrore. È vecchio, lo scettro e il potere gli pesano. Ben venga questo splendido giovane. Restituirà il trono che gli spetta per diritto di discendenza. Ma prima…

Pelia racconta al nipote, destinato a diventare suo successore, la storia di Frisso e di una maledizione da sconfiggere.
Un fantasma cui dare pace, partito tanti anni dalla città beotica di Orcomeno.
Frisso era figlio di Atamante re di Beozia e di Nefele, una ninfa delle nubi. Prima di sposare Atamante, Nefele aveva generato dal re dei Lapiti, Issione, un centauro. Fu ripudiata anche da Atamante che sposò Ino, figlia di Cadmo e Armonia.
E Ino convinse Atamante che per scongiurare una carestia che devastava il popolo bisognava sacrificare Frisso e anche sua sorella Elle. Intervenne Nefele che, con l’aiuto di Era, mandò ai figli il Crisomallo, cioè l’ariete dal vello d’oro. La salvezza. I due si aggrapparono al manto e spiccarono il volo.
Il magico montone fece compiere ai due fratelli un viaggio meraviglioso, sorvolando mari e monti, fiumi, laghi, golfi. Purtroppo Elle, stordita dalla visione e stanca, abbandonò la presa e i flutti del mare la inghiottirono. Frisso arrivò in Colchide. Il re Eete, fratello della maga Circe, lo accolse benevolmente e gli diede in sposa la figlia Calciope.
Frisso ricambiò sacrificando l’ariete a Zeus. Inchiodò il manto dell’animale fatato a una quercia, in un bosco sacro.
Un drago lo custodiva. Non si addormentava mai e non c’era dunque modo di avvicinare il vello.
Eete e Frisso invecchiarono insieme. In pace. Ma un giorno un oracolo disse al vecchio re che sarebbe morto per mano di Frisso.
Ed Eete uccise Frisso.
Pelia tremava alla fine del racconto. Disse che Iolco non avrebbe mai avuto pace se non fosse stata data requie all’ombra di Frisso e se non fosse tornato ciò che restava del meraviglioso ariete, cioè il suo manto d’oro.

ARGO, IL COSTRUTTORE
LEMNO, ISOLA DI AMORE E MORTE

Giasone, il generoso, acconsente. E si muove subito.

Chiede ad Argo che abitava a Tespi in Beozia, di assemblare una nave capace di affrontare un viaggio terribile. Argo è il miglior costruttore in circolazione. La nave prende il suo nome e lui è uno degli Argonauti della prima ora.
Per raccogliere compagni, Giasone invia araldi in ogni corte e città della Grecia.
Il comandò viene offerto a Eracle, reduce da una delle sue fatiche, la cattura del cinghiale erimanzio. Ma l’invitto eroe declina l’offerta. Capitano sarà il giovane e inesperto Giasone.
Ed è Giasone a sacrificare due buoi ad Apollo, dio delle navi e delle navigazioni.
Nel porto di Iolco il fumo sale alto nel cielo. Il banchetto degli eroi in partenza è lungo e gioioso. Qualcuno eccede col vino e Orfeo placa col canto i furori degli ubriachi.
Poi si salpa.
Timoniere è l’esperto Tifide. Viene da una città della Beozia, Sife, famosa per il suo ampio porto, nel golfo Criseo.
La prima meta è l’isola di Lemno, dove si è creata una situazione sociale e politica complicata.
Un anno prima gli uomini dell’isola si erano prese come mogli e amanti alcune schiave catturate durante le scorrerie in Tracia. Per ripudiare le legittime consorti erano ricorsi a motivi puerili. Dicevano che si lavavano poco e puzzavano.
Mai stuzzicare le donne. Quelle di Lemno si mettono d’accordo, rubano le armi agli uomini, li massacrano tutti. Si salva solo re Toante che sua figlia Ipsipile riesce a imbarcare di nascosto su una zattera senza remi e dunque ingovernabile. In balia delle correnti.
Quando all’orizzonte appare Argo, la nave degli Argonauti, le donne indossano le armature dei loro uomini e si precipitano sulla spiaggia. Le tranquillizza l’argonauta Echione, dalla parola fluente. Sbarca esibendo il bastone di araldo e ambasciatore.
Ipsipile, la figlia del re, offre vino e cibo. Ma li blocca lì sulla spiaggia. Se gli Argonauti salissero a Mirina, il piccolo borgo dell’isola, scoprirebbero i segni della strage.
Si fa sentire Polisso, la nutrice di Ipsipile. L’isola resterà disabitata di lì a poco, senza uomini. E suggerisce di dare origine a una nuova stirpe. L’isola sta per diventare un grande talamo. L’assenza di uomini da Lemno e da Mirina viene spiegata con un esilio cui le donne hanno costretto i loro mariti per i continui maltrattamenti.
Giasone ha fretta, vuole partire. È incalzato dal dovere. Promette che si fermerà al ritorno ma le grazie di Ipsipile sono irresistibili. Da quell’incontro nasceranno due gemelli, Nebrofono ed Euneo, futuro re di Lemno. Sarà lui a rifornire di vino le truppe achee impegnate a Troia.
Le cose a Lemno sarebbero poi precipitate. Toante si era salvato ed era diventato re della Tauride. La fama era arrivata fino a Lemno. Ipsipile, accusata di tradimento, fu venduta come schiava a Licurgo, re di Nemea.
Solo molti anni dopo, Euneo avrebbe purificato l’isola dalla maledizione di sangue. Introdusse l’usanza di spegnere ogni fuoco e lasciare i focolari freddi per nove giorni.
Il nuovo fuoco giunge da Delo, dalla fiamma che arde perenne sull’altare di Apollo.
Durante la notte di amore tra donne di Lemno ed Argonauti, Eracle rimane a montare la guardia sulla nave. Non gli piace quanto sta accadendo. Sale fino a Mirina e batte con la clava tremendi colpi sulle porte.
Controvoglia, annebbiati da ore di amore, gli Argonauti risalgono a bordo. Fanno vela verso nord.
La nuova meta è l’isola di Samotracia. Qui vengono iniziati dai sacerdoti Cabiri ai misteri di Elettra, la figlia del titano Atlante che generò a Zeus Dardano e Armonia, la sposa di Cadmo.
Argo riprende la sua rotta a nord, verso il grande mare chiuso, l’Ellesponto.
Gli Argonauti lasciano a tribordo Imbro, l’isola dalle dolci acque. Anche dal mare si possono vedere le foci dell’Ilisso che nasce dal ventre della montagna.
Un poco più in là, sulla costa, si ergono le fortificazioni e le torri di Troia. Vi regna Laomedonte, figlio di Ilo, il fondatore. Le mura le ha costruite lui, con l’aiuto di Apollo e Poseidone.
Laomedonte teme per la sicurezza della città e non consente il transito alle navi achee.
Giasone aspetta la notte, prega gli dei che le nubi coprano Selene, l’astro notturno.
Col favore delle tenebre entra nelle acque ribollenti della Propontide (che per noi moderni è il mar di Marmara).
Gli Argonauti sbarcano sulle coste impervie di Arto, penisola dominata dal monte Dindimo.
È il territorio dei Dolioni su cui regna felicemente Cizico. Il re è figlio di Eneo, legato da vincoli di ospitalità a Eracle. Sono in corso le sue nozze con Clita, figlia di Merope, ascoltatissimo e nobile indovino di Percote, una città della Troade. La sua prima figlia, Arisbe, aveva sposato Priamo, re di Troia. Poi sarebbe stata ripudiata ed Ecuba avrebbe preso il suo posto.
Cizico invita i nuovi venuti a unirsi alla festa, ma durante la notte alcuni misteriosi giganti dotati di sei braccia attaccano gli Argonauti. Questi si difendono e li respingono.
Intuiscono però che i numi sono avversi e si rimettono in mare.
Prima di prendere il largo cercano di accattivarsi il favore di Atena e, nel tempio a lei dedicato nella città del re Cizico, le offrono l’ancora della loro nave, affidandosi con quel gesto alla sua volontà. Inutilmente, la tragedia incombe.
……..

Gli Argonauti prendono la via del ritorno, seguendo le coste del Ponto Eusino, in senso contrario al giro del sole.
Quando attraccano al porto di Pagase, non c’è alcuno ad accoglierli. Si era sparsa la voce che l’impresa era fallita e che Giasone era morto con tutti i suoi uomini.
Pelia, il re usurpatore di Iolco e zio di Giasone, sicuro dell’impunità e immemore degli impegni presi, ha da tempo ucciso i genitori dell’eroe, suo fratello Esone e la cognata Polimela. Promaco, giovanissimo fratello di Giasone, nato dopo la partenza dell’Argo, viene massacrato da Pelia in persona che gli fracassa il cranio.
Dunque ancora una vendetta da consumare, un trono da riconquistare, una città da espugnare.
Ma gli Argonauti sono stanchi, desiderosi di tranquillità e ritorno.
È Medea a risolvere.
Dice alle figlie di Pelia di conoscere il segreto dell’eterna giovinezza. Il vecchio re riavrà il suo antico vigore, anche se il rito è lungo e complesso. Pelia dovrà essere tagliato a pezzi e messo a bollire in un calderone. Ne risorgerà rigenerato.
Difficile da credere. Medea dimostra che sta dicendo il vero sacrificando un vecchio montone. All’ultimo momento lo sostituisce con un agnellino, introdotto nel palazzo dentro un simulacro di Artemide. Così muore un usurpatore, con un trucco meschino.
Acasto, figlio di Pelia, si vendica cacciando Giasone e Medea. I due si recano a Corinto, al cui trono Medea, come figlia di Eete, ha diritto.
Ma a Corinto, Giasone si innamora di Glauce, figlia del re Creonte, e la sposa.
Medea, folle di gelosia, invia a Glauce, in dono di nozze, un vestito. Appena indossata, la veste prende fuoco bruciando lei e re Creonte.
Medea vola verso Atene su un carro inviatole dal nonno, il dio del Sole.
Giasone si reca a Orcomeno e appende il Vello d’oro nel tempio di Zeus Lafistio.
In seguito riconquista il trono di Iolco.
Era non gli perdonerà mai il tradimento di Medea.
Scorre il tempo. Il capo degli Argonauti invecchia insieme alla nave che lo ha portato verso lidi lontani e favolosi. Scende ogni giorno sulla spiaggia. La accarezza, la sfiora con le mani fatte ruvide da anni di remo.
Ha nostalgia dei risvegli che gli rivelano ogni giorno la bellezza sconfinata del mare.
Così prende l’abitudine di addormentarsi sulla prua della nave fatiscente, lo sguardo rivolto all’orizzonte. I vecchi legni, nel silenzio notturno, scricchiolano. Rantolano.
Una notte la vecchia Argo cede di schianto e travolge in un abbraccio mortale il suo antico comandante.
Manca poco a una nuova alba.

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