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ALSAZIA E LORENA 2017

IL TRIONFO DEL GOTICO


LA POESIA DEI GRANDI FIUMI


Fine luglio 2017, vacanza breve (ma intensa, come si dice) in Alsazia e in Lorena.
Le grandi cattedrali dalle impressionanti vetrate, i robusti vini (soprattutto bianchi), i paesini che esibiscono i davanzali fioriti, la storia della civiltà europea.
In Francia si sta bene. Viabilità ordinaria magnifica (ovvio, si evitano le autostrade altrimenti non si vede niente) e campeggi (frequentissimi) sempre attorno ai venti euro. Soprattutto il gusto per il decoro urbano. Ogni rotonda è curata. Ogni via è un’esplosione di fiori.
Anche il centro più piccolo ha un suo Ufficio del Turismo, ricco di stampati e suggerimenti. Ottima base per conoscere e iniziare a visitare un territorio. Noi abbiamo conosciuto così l’indirizzo dell’azienda dalla quale siamo andati a rifornirci di vini.
A me secca proprio che non sia così anche da noi.
Giù dal Monte Bianco e sosta in un paesino col nome dedicato al santo cha tagliò il mantello per offrirne la metà ad un povero infreddolito, St.-Martin-du-Fresne. Un vecchio sacrestano mi propone una riflessione che in tanti anni di studio sul santo vescovo di Tours mai mi era capitato di fare. Il dono che un giovanissimo soldato fece di un proprio indumento era profondamente eversivo: Martino regalava qualcosa che non gli apparteneva, perché tutto, anche il più insignificante oggetto, era patrimonio e proprietà dell’imperatore. Quel dono fu un abuso, un porsi fuori della legge. Segnale perentorio del suo futuro di assoluta indipendenza intellettuale.
La piccola piazza è intitolata a un cittadino benemerito, Charles Dugone (1926-2003). Chissà se c’è qualche parentela con i Dugone di casa nostra. Serata nel campeggio La Marjorie a Lons-le-Saunier. Siamo nel dipartimento del Giura (Jura in francese, regione Borgogna-Franca Contea) e questa cittadina di neanche ventimila abitanti è famosa e meta di pellegrinaggi perché è la patria di Rouget de Lisle, autore de La Marsigliese.
Inutile dire che il nome del giurassico, il periodo intermedio dell’era mesozoica, deriva proprio dalle montagne del Giura, con riferimento agli estesi calcari affioranti sul confine tra Francia, Germania e Svizzera. La parola Jura deriva a sua volta dalla radice celtica jor (latinizzata in Juria), foresta.

 

MULHOUSE (28 luglio 2017)


Capitiamo nel camping de l’Ill, nella zona degli impianti sportivi. Vicino a noi il campo da rugby.
L’Ill nasce in Francia, sui monti del Jura (la sorgente è presso Winkel e Ligsdorf). Qui tra cascatelle e stagni scorre per il suo ultimo tratto (più di 200 km la lunghezza totale del corso d’acqua). A Strasburgo confluirà nel Reno. L’Alsazia (Ellsass in tedesco) trae il suo nome proprio dall’Ill.
Mulhouse (cioè case dei mulini) è una simpatica cittadina di centomila abitanti, tutta compresa tra un canale del Rodano e, appunto l’Ill. Qui sono nati il famoso matematico Johann Heinrich Lambert e soprattutto Alfred Dreyfus, protagonista del caso che infiammò tutta Europa a cavallo tra Ottocento e Novecento. In difesa di Dreyfus scese in campo anche Émile Zola.
Sulla centrale Place de Rèunion si affaccia il Temple St-Étienne, cattedrale gotica di culto protestante. Possiamo visitare da vicino e quasi toccare con mano, per un gioco di scalette interne ai muri, il formidabile complesso delle vetrate. Soprattutto storie bibliche, ampiamente documentate nelle didascalie.
Nella sua travagliata storia, la città (1515) minacciata dagli Asburgo, si associò alla Confederazione Svizzera. Era inevitabile che, pochi anni dopo, con l’avvento della riforma protestante entrasse in conflitto coi cantoni cattolici. Così nel 1586 si proclamò repubblica neutrale. Nel 1798 un plebiscito la unì alla Francia. Qui di guerre se ne sono sempre combattute, del resto. Nel 58 a.C. si svolse una tremenda battaglia tra Giulio Cesare e Ariovisto.
Ad angolo retto, sempre in Piazza della Riunione, si trova l’Hôtel de Ville, dalla variopinta facciata e dalla sontuosa scalinata coperta.
A Mulhouse hanno sede un museo dell’automobile e un museo del treno, tanto che viene definita la cité du train. Noi visitiamo il Musée des beaux-arts, dove ha sede una delle più importanti esposizioni su tessuti e tessiture degli ultimi secoli. In particolare qui si apprende l’arte della stampa su tessuto. Sono esposti straordinari prodotti finiti, macchinari e un’impressionante serie di matrici antiche. Un’infinità di disegni e motivi decorativi da imprimere sulle stoffe. Mica semplice, eh. Trovare la formula giusta per pigmenti e colori è stata cosa difficile. Secoli e generazioni di artigiani.
Abbiamo la fortuna di essere ammessi nel laboratorio dove due operatrici stanno lavorando con tecniche antiche alla stampa di una lunga pezza di tela.
In una libreria lì vicino rovisto tra splendidi libri a prezzi stracciati. Compero l’introvabile Vie de Balzac di Andrè Maurois in edizione originale.
Mentre riprendiamo la strada verso il campeggio, alle nostre spalle, curioso e disinteressato insieme, ci osserva un uomo di ferro. Singolare scultura assemblata con parti di motore e spezzoni di metallo.

 

COLMAR (29 luglio 2017)


Graziosissima cittadina, dominata dalle sue case a graticcio. La più vecchia reca dipinta una data, 1379. Nelle vie e nei vicoli vige una grande animazione, bancherelle ovunque e l’immancabile trenino per chi vuole fare il giro. Non fatichiamo a conoscere il cittadino più illustre. Dalla facciata di una casa ci guarda il volto severo di Frédéric Auguste Bartholdi (1834 -1904), l’autore della statua della Libertà che si trova al centro della baia di Manhattan, (sulla Liberty Island) e del Leone di Belfort (ancora una statua colossale che commemora l’eroica resistenza di Belfort durante l’assedio prussiano del 1870).
Qui non c’è un campeggio, ma un’area di sosta (in Rue du Canal). Il che vuol dire, al solito, asfalto e non erba sotto il camper. Col caldo che fa… Ma il posto è bellissimo, siamo proprio nel porticciolo di pescatori in riva alla Lauch, un subaffluente dell’Ill. Ci adattiamo, ma non di gran cuore. La liturgia che presiede al farsi una doccia è così complicata e ha tante difficoltà che preferiamo farcela in camper.
Nonostante le apparenze, il nome è romano, viene dal latino columbarium. Colmar fu città libera del Sacro Romano Impero e figurava tra le dieci città della Decapoli d’Alsazia. Divenne francese nel 1648 a seguito del trattato di Vestfalia.
Vistiamo la cattedrale di San Martino, come viene comunemente detta quella che è in realtà la Collegiata di San Martino, straordinario esempio di architettura gotica. Fu eretta a partire dal 1237 su progetto dell’architetto Guglielmo di Marburgo e terminato verso il 1365-66.
Subito dopo, la Piccola Venezia (però vorrei un euro per tutte le Piccole Venezie che ho visitato in questi anni, sarei ricco), il pittoresco quartiere con innumerevoli costruzioni a graticci dai colori vivaci a bordo dell’acqua. Volendo si può fare un giro su scialuppe che a occhio e croce non mi sembrano il massimo dell’affidabilità.
Il Musée d’Unterlinden (all’interno del monastero delle Domenicane), ospita l’altare di Issenheim di Mathias Grünewald (con la Resurrezione, nei pannelli centrali), oltre ad un insieme eccezionale di dipinti di pittori renani (Hans Stock, Martin Schongauer, Lucas Cranach il Vecchio, Hans Holbein il Vecchio).
Non poteva mancare la replica della statua della Libertà (12 metri!), realizzata nel 2004 e posta all’entrata settentrionale della città, in onore di Auguste Bartholdi che ovviamente ha un museo a lui dedicato.
E le indicazioni non sono sui cartelli, ma per terra, tra i sampietrini. Piccoli triangoli con incisa la statua
Si cammina volentieri per le stradine. Il mercato coperto e le facciate delle case in cui tutto fa insegna, guardare le foto per credere. Poi i piccoli laboratori di specialità locali: il Comptoir de Mathilde esibisce distillati (e alambicchi) di ogni tipo.
Nelle pasticcerie fa bella mostra di sé il Kugelhopf (ho trovato anche la grafia Kougelhopf) che è il dolce tradizionale alsaziano. Sarebbe un po’ come il nostro panettone, ma ormai lo si mangia (e vende) in ogni stagione. In pratica è una grossa brioche con uvetta, rum e mandorle. Una bomba, con mille varianti locali. Gli stampi per farlo si vendono un po’ ovunque, ma c’è una catena di prodotti tipici locali (l’oncle Hansi, con tanto di sito dedicato) in cui si trova di tutto.

 

EGUISHEIM, RIQUEWHIR,
DOMAINE FRITZ (30 luglio 2017)


Mattinata per paesini. Scegliamo Eguisheim, un migliaio di abitanti, per un suo famoso figlio. È nato qui, il 21 giugno 1002, Brunone dei conti di Egisheim-Dagsburg, diventato papa col nome di Leone IX nel 1049. La Chiesa lo venera come santo (19 aprile e 8 maggio), quarto papa tedesco della Chiesa cattolica. A Eguisheim tutto gli è dedicato, compresa la piazzetta raccolta attorno ad una fontana fiorita. Sulla chiesetta soprastante svetta un campanile, sul quale irriverenti cicogne hanno fatto il nido. Ne vedremo tante di cicogne con i loro enormi cestoni di stecchi, erba e paglia.
I vicoli sono una scoperta continua di scorci inediti e di colori. Fiori ovunque, arredo urbano curatissimo.
Papa Leone IX ci guarda da targhe, monumenti, insegne. Su un parco giochi domina la sua figura con un lungo strascico. Sembra camminare nell’aria.
Qualche chilometro ed eccoci al domaine Fritz a Sigolsheim. Siamo in rue du Vieux Moulin. In effetti si tratta di un vecchio mulino riattato.
Lo abbiamo scelto per i nostri acquisti di vini. Soprattutto gewurtztraminer, riesling e pinot (il nome vuol dire piccola pigna, con allusione al grappolo minuto) vinificato sia in grigio che in rosso. Che criterio ci ha guidato nel pescare tra tanti? Beh, la brochure presa in un Ufficio del Turismo indicava il listino prezzi, ma questo era anche in altri. Il fatto è che i padroni del domaine offrono ospitalità gratuita per un giorno (con corrente) ai camperisti che desiderano sfruttare l’opportunità. Lo avessimo saputo, saremmo venuti qui. Non partecipiamo alla degustazione in atto (sono le 10 di mattina…) ma la proprietaria, mentre ci impila le scatole, ci rinnova una, due tre volte l’invito a tornare. Anche per più di un giorno…
La strada dei vini alsaziani si estende per 170 chilometri e attraversa 119 comuni. I più famosi sono Strasburgo, Marlenheim, Sèlestat, Ribeauvillé, Colmar, Mulhouse, fino al “capolinea” Thann.
Quasi sedicimila ettari a vigneto, 900 cantine, 4200 aziende agricole (e ben 890 commercializzano direttamente il proprio prodotto), musei del vino sparsi su tutto il territorio. Qui siamo sotto i Vosgi, che proteggono la zona da sbalzi climatici e creano preziosi microclimi, tra i 200 e i 400 metri. E la ricchezza e la biodiversità si spiega con l’estrema varietà di terreni frutto di una realtà geologica che si perde nella notte dei tempi, dal primario al quaternario.
Il domaine Fritz ha ovviamente un suo indirizzo di posta elettronica cui si possono rivolgere richieste di vini (e prenotare il posto per il proprio camper), domaine.fritz@orange.fr.
Poi Riquewhir, anche qui poco più di mille abitanti.
Un po’ difficile parcheggiare, ma qualcosa troviamo. Si tratta del tipico borgo medievale con una porta antica che è presa di mira da migliaia di scatti. È famoso questo posto perché Hayao Miyazaki, il più conosciuto regista del cinema di animazione giapponese, ha trovato qui di che ambientare il suo film Il castello errante di Howl. E, per gradire, Riquewhir ha ospitato il set del video musicale della canzone Maggese, di Cesare Cremonini.
Entro in un vecchio portico che reca l’insegna di brocante (il termine francese che sta a metà strada tra i nostri antiquario e rigattiere). Vi trovo a due soldi un eccezionale macinino da muro per la mia collezione.
Bellezza, vino, pezzo da collezione. La giornata perfetta.
Mai dirla questa cosa, l’imprevisto è sempre in agguato.

 

STRASBURGO (30 luglio 2017)

Giorno ancora giovane, non sono nemmeno le 12. Raggiungiamo in un amen la vicina Strasburgo e la giornata perfetta si trasforma in frana. Il campeggio (Indigo, in zona Montagne Verte), è strapieno, non c’è posto per noi.
Proviamo a insistere, nulla da fare. Insistiamo ancora. E allora salta fuori che il campeggio ha un ampio parcheggio dove è possibile sostare, usufruire dei servizi igienici, ma senza elettricità. Piuttosto che niente…
Ma la mattina dopo bisogna lasciar libero il posto. E allora, visto che è ancora molto presto, ci avviamo verso il centro di Strasburgo. Non ci sono molte indicazioni, ma ci arrangiamo.
A circa un chilometro dal campeggio (ennesima scarpinata) c’è la stazione del metro di superficie (linee F e B). In cinque minuti siamo al capolinea, la centralissima piazza de l’Homme-de Fer, adiacente a Piazza Kléber dove i bambini, incuranti dei divieti, usano una lunga fontana come piscina.
Egle ed io siamo costretti a concentrare in poche ore una visita che avremmo voluta più lunga. Ma, ne siamo sicuri, troveremo la soluzione per godere di ogni angolo di questa splendida capitale europea. Improvviseremo.
Incontriamo un suonatore dalle dolci percussioni e un maliardo che promette (gratis) ipnosi immediata.
Leggiamo sulla guida l’elenco dei cittadini illustri di Strasburgo.
Jean-Baptiste Kléber (1753-1800), generale stimatissimo da Napoleone, al quale è dedicata la piazza in cui ci troviamo in questo momento; il pittore Louis Frédéric Schützenberger (1825-1903); Gustave Doré (1832-1883), il celebre illustratore della Divina Commedia; il musicista Johann Georg Kastner (1810-1867); Arsène Wenger, l’allenatore dell’Arsenal; Charles de Foucault (1858-1916), il grande esploratore e religioso.
E Strasburgo è patria di elezione di Johann Gutenberg (1400-1468), l’inventore della stampa a caratteri mobili che qui instaurò il primo grande centro della sua attività; dell’umanista Erasmus (1466-1536); del riformatore Giovanni Calvino (1509-1564); dello scrittore Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832); di Claude Joseph Rouget de Lisle (1760-1836), compositore de La Marsigliese; di Louis Pasteur (1830-1895), l’iniziatore della cultura del vaccino; del direttore d’orchestra Alain Lombard.
Non è un elenco, è la storia stessa della città.
Ricordata nei nomi delle vie e delle piazze, nei monumenti. Ecco la statua di Gutenberg, al centro della piazza a lui dedicata. Le deiezioni degli uccelli e l’incuria si leggono bene sul verde bronzo della statua. Non una buona cosa. Qui a Strasburgo, nel 1430, Gutenberg aprì un laboratorio di oreficeria e si occupò del conio delle monete. Cullava l’idea che di lì a qualche anno, a Magonza, avrebbe portato alla rivoluzione culturale della prima Bibbia stampata con le matrici a caratteri mobili.
E tocca a lui, Johannes Gensfleisch della corte di Gutenberg, introdurre alla visione della più bella chiesa gotica del pianeta, la cattedrale dedicata a Notre-Dame de Strasbourg. La sua flèche, la guglia, svetta fino a 142 metri: per secoli una delle maggiori altezze mai raggiunto da un edificio. Flèche, cioè freccia: essa stessa una meraviglia di trafori, di leggerezza e bellezza. Sette livelli di pinnacoli verticali, senza scala centrale.
Da queste parti dicono che la Madonna, cioè la titolare della chiesa, deve aver fatto un patto coi fulmini, perché questo dardo impiantato in cielo non è mai stato mozzato da una saetta. Invulnerabile
La costruzione durò più di quattro secoli, dal 1015 (anno in cui il vescovo Werner fece iniziare i lavori) al 1439.
Dunque la cattedrale ha appena fatto il giro di boa del suo primo millennio di vita.
Viene sempre da riflettere sulla progettualità di questi uomini che si imbarcavano in imprese secolari con fede di diamante. Nemmeno i nipoti dei nipoti dei fondatori avrebbero mai visto l’opera compiuta. La sfida al tempo. E una fede che ormai non appartiene più all’uomo moderno.
Notre-Dame fu tempio protestante dal 1525 al 1689, divenne cattolico sotto Luigi XIV.
La facciata occidentale, quella che letteralmente aggredisce e avvolge il visitatore, è stata paragonata a una gigantesca arpa di pietra. I 12 apostoli e la vergine, una gestione maestosa e spettacolare degli spazi architettonici, le prospettive offerte dai portali. Tutto qui ha qualcosa di oltreumano.
All’interno si passa di meraviglia in meraviglia.
Annoto sul taccuino.
Nell’abside della cappella di St-Laurent trovo una formidabile scultura in legno, Il Monte degli Ulivi (9 metri di lunghezza, 3,80 metri di larghezza, 5 metri di altezza), attribuita a Veit Wagner.
In fondo alla navata di destra l’altissimo orologio astronomico. In questo luogo si misura il tempo dal 1354 (l’orologio dei trois rois). Il quadrante attuale è stato installato nel 1533. A mezzogiorno e mezzo comincia la miracolosa sfilata degli automi: gli apostoli transitano in omaggio davanti al Cristo benedicente, mentre a sinistra un gallo muove le ali e canta tre volte. Ricorda a Pietro il suo tradimento e, a tutti noi, la fragilità delle nostre certezze.
Gli organi monumentali. La cattedrale ne ha ben tre. Il principale è nella terza campata della navata centrale, lungo la parete di sinistra. Conserva la cassa originaria, risalente al 1384, che, a partire dal 1716, ha ospitato uno strumento costruito da Andreas Silbermann. L’organo attuale risale al 1981 ed è stato realizzato dall’organaro Alfred Kern. Il secondo organo si trova lungo la parete destra del coro. Attualmente (dopo la ristrutturazione del 2011) lo strumento ha tre tastiere ognuna di 56 note e pedaliera di 30. Anche la cripta ha il suo organo: fu costruito da Gaston Kern in tempi recenti, nel 1998.
Il rosone centrale è una meravigliosa struttura di 12 metri e mezzo di diametro. La si deve a maître Erwin che ha costruito una geniale macchina in cui la parte vitrea richiama i petali di un fiore e la parte muraria gli steli che li sostengono.
Il pulpito del 1485, costruito per le appassionate omelie del grande teologo Jean Geiler de Kaysersberg, è un capolavoro di trafori e sculture. Come è un capolavoro di arabeschi vegetali il fonte battesimale realizzato nel 1453 da Jost Dotzinger.
Poi il grandioso spettacolo delle vetrate. Le più antiche risalgono al XII secolo e ritraggono, tra gli altri sovrani dell’impero romano germanico, Filippo re di Svevia.
Tuttavia…
Tuttavia a dire di ogni singola cosa si rischia di perdere l’emozione dell’insieme, che va oltre ogni capacità di comprensione umana. Turbamento profondo, domande che si aprono nell’anima, fede personale sottoposta a una tensione del tutto nuova. Perfino il disagio di non comprendere appieno l’insieme: impresa peraltro impossibile. Qui ti senti completo per un verso e assolutamente in debito di idee, di sentimenti e di conoscenze per l’altro. La cathédrale c’est un rêve, la cattedrale è sogno, come dice l’addetta allo shopping all’ingresso.
 Andiamo a zonzo per l’Île muovendoci dalla piazza della Cattedrale. Dove, come è normale, stazionano frotte di artisti che per pochi euro ti fanno ritratto e/o caricatura. Lo sguardo curioso del committente che, come in ogni parte del mondo, alla fine del lavoro gira attorno al cavalletto per vedere “come sono venuto”.
Visitiamo il quartiere delle case a graticcio, la Petite France, le chiese di St-Pierre-le Vieux (chiesa dalla storia piuttosto singolare perché la navata gotica era riservata ai protestanti e il coro ai cattolici) e St-Pierre-le Jeune (tutta protestante), altro splendido esempio di gotico risalente alla fine del XIII secolo.
Ma ci manca molto, e allora…
Allora ci soccorre Batorama, l’organizzazione che cura il giro in battello attraverso i due millenni di storia della città. In pratica ci si imbarca a pochi passi dalla cattedrale su un battello che percorre l’Ill fino alla confluenza nel Reno. Ogni sedile dispone di audioguida (molto ben fatta quella in italiano).
Proviamo l’emozione, prima volta nella vita, di entrare in un sistema di chiuse per innalzare il battello e permettergli di continuare a navigare e soprattutto visitiamo tutta la zona delle istituzioni europee. Un’ora e un quarto in presa diretta con Strasburgo.
Sbarchiamo e giriamo ancora a lungo. Verso sera riprendiamo il metro in direzione del nostro (quasi) campeggio.

 

METZ (31 luglio 2017)


L’ultima meta è per il cuore, Metz. Una delle città in cui il gigante della cultura del VI secolo, Venanzio Fortunato (trevisano di Valdobbiadene), è assurto al ruolo di magister di buon gusto e civiltà. A Venanzio ho dedicato un libro/biografia, Il vino e il miele; di lui ho tradotto la Vita di san Martino (tutta anche in questo sito, nella parte dedicata al santo vescovo di Tours).
Quando arriva qui, nel 566, Venanzio trova la capitale del territorio che allora si chiamava Austrasia, in piena effervescenza. Re Sigiberto I, figlio di Clotario, sposa Brunichilde, figlia di Atanagildo re dei Visigoti. Matrimono (forse) d’amore e (certamente) di grande rilevanza politica per l’alleanza tra due etnie potenti che andava a suggellare.
E Venanzio recita un suo epitalamio con cui augura fortuna e benessere ai due sposi, De domino Sigiberto rege (VI,1).
Ne riporto l’incipit nella mia traduzione (da Il vino e il miele) perché descrive bene la bellezza e la ricchezza di questa terra: “Inizia la primavera, già la terra si è spogliata delle nevi, affabula Venanzio. I campi si rivestono di erbe multicolori, sulle cime dei monti si dilatano le foreste e l’albero generoso d’ombre rinnova il verde della sue chiome. La splendente vite fa germogliare e prosperare i suoi tralci, promessa di turgidi grappoli dai rami fecondi. La meravigliosa ape ripone il miele nei favi: ha cercato tra i fiori e li ha accarezzati col suo flebile sussurro. È feconda nel suo casto letto, vuole che la sua discendenza si rinnovi e intende generare dai fiori figlie operaie. Fedele ai suoi vincoli, per amore della propria posterità, il garrulo uccello corre, si affretta verso i suoi piccoli”.
Transitiamo dall’Alsazia alla Lorena, valicando il passo di Col de Saverne (413 metri). Un passagio utilizzato nei secoli da Celti e Romani.
Un po’ più in là lavoro per il mio teleobiettivo. Azoudange è uno di quei paesini in cui il cartello d’inizio e di fine distano duecento metri. 117 abitanti, leggo su Wikipedia. Un nulla, ma con monumentali nidi di cicogne. Sosta obbligata.
Approdiamo nel camping municipale di Metz, a dire il vero dopo un itinerario piuttosto complicato, per sensi unici e divieti. Ma che sogno. Siamo proprio in riva alla Mosella, il grande fiume che nasce nei Vosgi e, dopo 561 chilometri, va a gettarsi nel Reno a Coblenza. Il suo nome viene da una radice mus/mos che vuol dire acqua che scorre e che si trova anche in alcuni toponimi nostrani (Musile, Musestre, Musone). Via d’acqua di grande importanza economica ma anche fiume letterario.
Decimo Magno Ausonio (Burdigala, Bordeaux 310 – 395), gli ha dedicato un poema (Mosella appunto, 370, costituito da 483 esametri). Ma la Mosella era centrale al panorama fisico e psicologico di Venanzio. Lui la chiama uviferi Musellae, cioè Mosella che produce uva. Oppure scrive a un suo amico, il nobile dignitario Gogone: “Nuvole che correte spinte dal soffio del rapinoso Aquilone, mosse dalla ruota sospesa con il suo asse splendente, ditemi come sta il mio caro Gogone. Che fa, ora che è tranquillo e il suo animo è sereno? Forse sta oziando sulle rive del Reno dalle onde agitate, nel tentativo di strappare alle acque il grasso salmone. Oppure cammina lungo la corrente della Mosella, nutrice di vigne, perché il vento lieve lo ristori dalla calura del giorno: qui i pampini e il fiume leniscono la vampa del mezzodì. È l’ombra a dare frescura alle viti, è l’onda che batte sempre nuova a darla al fiume”. E memorabile è la crociera che il poeta compie sulla Mosella, De navigio suo (X, 9), un inno alla fecondità e al buon governo. Il poeta parte proprio da Metz per raggiungere Andernach, a circa 150 chilometri. Appartengono a questo carme i versi sui quali qualche sciagurato ha generato equivoci affermando che il valdobbiadenese Venanzio nelle sue opere parla di prosecco. In realtà parla dei poderosi rossi della vallata della Mosella.
È tardi e decidiamo di non muoverci dal camping. Visteremo Metz il giorno dopo. Solo che nella notte si scatena un inferno di pioggia e vento che dura anche per tutta la mattinata successiva. Per nulla intimoriti, zaino e kway, in tarda mattinata ci mettiamo in cammino sotto l’acqua per raggiungere il centro che è a cinque minuti. Intraprendenza premiata perché spunterà perfino un bel sole.
Abbiamo due mete, la Cattedrale, altro capolavoro del gotico, e la chiesa di San Martino.
Metz è l’antica Divodurum (città dal monte sacro), capitale dei Mediomatrici. Dal loro nome, contratto in Mettis, deriva Metz.
La Cattedrale è dedicata a Santo Stefano. La costruzione partì nel 1220 e finì attorno al 1520. È famosa per le sue vetrate, definite muri di luce. La chiamano la Lanterne du bon Dieu. Ve ne sono di antiche ma ne hanno realizzate in tempi moderni anche Charles Marcq e Brigitte Simon con disegni e direzione nientemeno che di Marc Chagall. Mirabile e poetico il Paradiso Terrestre firmato dal grande artista bielorusso.
Delle mura cittadine (le prime fortificazioni romane) resta poco più di un chilometro fra Porte des Allemands e Pont des Grilles. Porte des Allemands è un significativo esempio di fortificazione medievale.
Il centro della città è la Place d’Armes. Vi si affacciano la Cattedrale, il Municipio e il Corpo di guardia. Caratteristica è Place St-Louis, da sempre luogo di fiere e mercati.
l’ Église St-Martin, in stile gotico, risale al secolo XIII, almeno nella sua parte più antica. Tre navate in cui si conservano vetrate e affreschi del XVI secolo.
Tappa all’Église Sainte-Ségolène. Santa Sigolena, molto venerata ad Albi, è personaggio velato di mistero. Vissuta tra V e VIII secolo, fu religiosa e probabilmente fondatrice e prima badessa del monastero di Troclar, vicino a La Grave, in Provenza. I primi lavori risalgono al 1250.
Infine il protestante Tempio Nuovo, chiuso ma con davanti uno splendido giardino fiorito. Tutto visitabile. Siamo in riva ad uno dei canali derivati dalla Mosella. Ponti e sottoportici. Straordinario.

 

RITORNO (1 e 2 agosto 2017)


Mai dire al navigatore di tirare dritto. Nei pressi di Nantua, impostiamo direttamente la meta successiva, Lons-le-Saunier. E sua maestà tomtom, per risparmiare (!) venti chilometri ci manda dritto in montagna su una strada impossibile e con qualche tratto di sterrato.
Mai più. Per il resto tutto bene anche perché la sera scoviamo, subito dopo Annecy e sulla strada per il traforo del Monte Bianco, un campeggetto, in riva ad un affluente del Rodano, Il Fier. Un luogo da idillio.
Grazie alla mia splendida compagna Egle, viaggiare con lei è altra cosa.

 

POST SCRIPTUM

Nei campeggi si trova di tutto. Proprio. L’anno scorso in uno sperduto campeggio della Camargue un signore mi si avvicina e mi dice di conoscermi. Mistero presto svelato: io ho il mio sito stampato sul retro del camper e lui era un abituale frequentatore dei miei diari di viaggio.
Ma quello che ho visto nel campeggio di Metz…
Una roulotte olandese aveva al seguito la gabbia delle galline. Lasciate a becchettare lì sul prato. Non oso immaginarne l’uso. Forse siamo nell’epoca degli animali da compagnia duepuntozero.

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