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Cronaca di un assassino nel Veneto Classista

Cronaca di un assassino nel Veneto Classista

(Luca Desiato, Il Nostro Tempo, 22 febbraio 1998)

 

Il rapporto tra padrone e servitore è vecchio come la società. Un tema stimolante per la letteratura, da Tolstoj al verismo, dal realismo socialista alla saghe sudamericane. In questo rapporto si stringono i nodi del potere e della sudditanza, del comando e dell’ossequio, dell’abuso e del rancore, della violenza fredda e della ribellione. Un uomo che comanda e uno che obbedisce, pare una contraddizione per la natura umana, di per sé libera ma diviene una convenzione stabilita e fondante il patto sociale.

Il rapporto padrone-servitore è alla base dell’insolito romanzo “Il delitto della contessa Onigo” di Gian Domenico Mazzocato.

Nelle mani di Linda Onigo, contessa ricchissima e avara, sono le sorti di uno stuolo di mezzadri, contadini, braccianti, in un Veneto classista, dalle tradizioni quasi feudali.

A compilare il resoconto del misfatto, delle antecedenti cause e delle conseguenze, è la voce narrante del conte Avogadro degli Azzoni, a suo tempo amante della contessa. Il suo diario scaverà nella vicenda e nelle carte processuali e farà risaltare le fisionomie psicologiche della vittima e del suo assassino, “un ribelle inconsapevole di sé, un eroe senza memoria”. Tale è il giovane Pietro Bianchet, frustrato nei sogni e nei progetti, rancoroso verso il mondo e la sorte avversa.

E la contessa, nata bastarda ma insignoritasi, è un personaggio ombroso e ferale; la sua cupidigia è tristezza di vivere, spavento di morte; persone come lei hanno attorno a sé, fin dalla nascita, un alone di decadenza e di disfacimento, sono destinate a finire nella terribilità dell’odio altrui.

Un incontro fra due vie drammatiche, dunque, spinte ad un ineluttabile confronto di disperazione; il vero movente, forse, oltre la filigrana dell’ingiustizia sociale e della lotta di classe.

La storia atavica di espropriazioni subite dalla famiglia della contessa e la sua appartenenza alla religione valdese, coi ricordi di stragi e diaspore, di arroccamenti alpini della sua gente, ha senza dubbio contribuito a formarne l’indole gretta e malfidata. Forse il “mistero d’iniquità” rinchiude esseri come Linda nel cerchio della costrizione dualistica, avversa alla solidarietà e all’amore. “Si vive nel bene o nel male, nel peccato o nella grazia”. Non vi è scampo.

Nel processo contro Bianchet che si terrà a Venezia sfileranno i testimoni. Secondo molti si profilerà l’idea di un complotto politico: Bianchet avrebbe ristabilito l’ordine con un atto di tribale giustizia, eseguendo “un omicidio decretato da tutto un paese”.

“Il delitto della contessa Onigo” è un’opera prima con la sua amarezza malinconica e una certa felicità di raccontare.

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