CIPRO
BELLA E LACERATA
(ottobre 2025)
LARNAKA
(51mila abitanti, terza città di Cipro, Cizio era il nome antico. Il nome attuale potrebbe derivare da λάρνακες/làrnakes , cioè tombe o sarcofagi)
Cipro è un tuffo nel mare azzurro. O quasi. La pista comincia a ridosso della spiaggia. L’aeroporto di Larnaka, il principale dell’isola, è intitolato a Glafcos Clerides, presidente della repubblica cipriota per 10 anni. Eroe nazionale, implacabile nel denunciare gli abusi della dominazione inglese. È già impatto con la storia di questa terra tormentata.
Larnaka, terza città di Cipro, presenta viali segnati da alte palme. Lungomare dorato nel sole caldo del tramonto. E panchine che invitano a godere il vento dolce della sera in arrivo.
Il centro storico ha il suo fulcro attorno alla bizantina cattedrale di san Lazzaro. La chiesa conserva parte del cranio del santo che fu amico di Gesù e da lui resuscitato, secondo il racconto di Giovanni (11,1-44). La leggenda vuole che Lazzaro approdasse qui, a Κίτιον/Kition (nome antico di Larnaka) e predicasse per trent’anni.
Secondo la tradizione occidentale (avallata da Jacopo da Varagine), Lazzaro fu vescovo di Marsiglia. Ma secondo la tradizione ortodossa fu esiliato dai farisei e messo su una barca alla deriva. Raggiunse l’isola e ne fu il primo vescovo. Fu sepolto in città (sotto l’altar maggiore della cattedrale se ne può vedere il supposto sarcofago) ma l’imperatore bizantino Leone IV, nell’898, ordinò che le spoglie fossero portate a Costantinopoli.
A ricompensa della privazione di così preziose reliquie, fece costruire la chiesa. Le spoglie, razziate durante l’assedio di Costantinopoli (IV crociata, 1204), furono traslate a Marsiglia.
L’interno della chiesa è ricco di icone e si notano gli stemmi dei Lusignano, una delle famiglie nobili più importanti di Francia e d’Europa. I Lusignano detennero i troni di Gerusalemme, di Armenia e, tra 1092 e 1474, di Cipro.
Un po’ fuori del centro, sulla sponda occidentale del lago salato, sorge il minareto dell’Hala Sultan Tekke o moschea di Umm . Era la moglie di Ubada bin al-Samit, un Ṣaḥāba (cioè un seguace) di Maometto e sorella adottiva della madre di Maometto, Aminah bint Wahb. Devo ammirare da fuori perché… sono in (peraltro castigatissimi) calzoni corti e questa moschea (e solo questa) ha la regola che per entrare servono i pantaloni alle caviglie. La guida si è dimenticato di dircelo. Che rabbia.
Pazienza. Per rifarsi occhi e umore ecco, una decina di km a sud di Larnaka, nel villaggio di Kiti, la chiesa bizantina Panagia tis Angeloktistis o Panagia Angeloktisti, cioè “costruita dagli angeli”. Basta guardarla da fuori per capire ristrutturazioni, aggiunte, rifacimenti. Un clamoroso libro di architettura bizantina all’aperto, sotto l’azzurrissimo cielo di Cipro.
I fedeli appendono piccoli exvoto in argento.
L’interno rivela uno dei mosaici paleocristiani (VI secolo) meglio conservati di Cipro. La vergine Maria tiene in braccio il bambino Gesù tra gli arcangeli Michele e Gabriele su sfondo dorato. Maria è in versione “odigitria”: con una mano, cioè, indica la strada da seguire. E la strada è ovviamente il suo divin figliolo. Le ali degli angeli ricordano le piume di un pavone, simbolo di vita eterna.
Pranzo in una trattoria di Lefkara, delizioso villaggio ai cui balconi, finestre, terrazze si affacciano foreste viola, fucsia e rosse. Il fiore mediterraneo per eccellenza, sua maestà imperiale la boungavillea, la cui fragranza richiama la brezza di mare e gli agrumi. Scegliamo (sempre al plurale, sono con la mia Egle) una moussakà. Una delusione, certo per colpa nostra. L’avevamo mangiata (meravigliosa prelibatezza!) a Salonicco alcuni anni fa. Questa è del tutto diversa e poco piacevole al nostro palato. Le melanzane, nella versione cipriota, sono lessate e non fritte.
Succede. Ci aspetta un luogo straordinario. L’area archeologica di Khirokitia.
A Cipro i primi abitatori arrivarono 14mila anni fa. Raccoglitori, poi pastori e agricoltori.
Testimonianza unica è il villaggio neolitico di Khirokitia, abitato dal VII millennio a. C., poi abbandonato, poi occupato da una diversa etnia. Oggi è patrimonio dell’Unesco. Siamo immersi nel dolce paesaggio collinare ai piedi del massiccio del Troodos e nella valle scavata dal fiume Maroni. Fu scoperto nel 1936 da Porphyrios Dikaios, curatore del museo di Nicosia, insegnante a Princeton e Heidelberg.
Restano tracce di una sorta di cittadella fortificata, con spesse mura. Gli edifici (se ne possono ammirare alcuni ricostruiti) erano a struttura circolare, con diametri variabili fra i 3 e i 9 metri. Si leggono la storia, le attività, le relazioni sociali in una serie di pannelli, in greco e in inglese. La popolazione non arrivò mai a superare le poche centinaia di individui con ricambi generazionali velocissimi (almeno per noi) visto che l’età media era di poco superiore ai venti anni. Erano agricoltori (soprattutto cereali) e anche allevatori (ovini, cervi e maiali). Le boscaglie circostanti offrivano fichi, olive, pistacchi. Dunque una dieta ricca e molto variata.
I morti erano inumati in posizione rannicchiata sotto il pavimento. Nelle tombe sono presenti resti di cibo, segno che esisteva una qualche forma di culto dei trapassati e la percezione di un aldilà.
Siamo sulla costa meridionale di Cipro, a pochi km dal mare. E ci aspetta la vicina Limassol.
DOVE NACQUE VENERE E LA CASA DI DIONYSOS
Nel viaggio di trasferimento verso la seconda città dell’isola, sosta obbligatoria a Petra tou romiou, sulla spiaggia da cui emerse Afrodite / Venere. Bellezza e fecondità. Mito oscuro, la sua parte. Crono (il Tempo), su istigazione della madre Gea (la Terra), evirò il padre Urano e le gonadi caddero a Petra tou romiou, sulle onde schiumose del mare. Bellissima, si materializzò la dea. Luogo di rara suggestione.
Gli scogli assomigliano a una tartaruga (o un leone? un cammello?).
La gente del posto ti chiede quale animale riconosci. E siccome tu scuoti la testa per dire che gli scogli non assomigliano a nulla, loro concludono trionfalmente che non hai fantasia.
Sui sassi bianchi della spiaggia, innamorati di tutto il mondo lasciano un messaggio.
A proposito: il romios che dà il nome a questo paesaggio solare e petroso, indubbiamente di grande forza evocativa, è un “greco” leggendario, Diogene Akritas, detto appunto “romios”, cioè romano. E poi anche greco perché il nome, da un certo periodo in poi, venne attribuito a tutti coloro che facevano parte dell’impero latino d’Oriente. Diogene con la sua forza immane scaraventava massi contro i predatori nemici che venivano dal mare.
Sorridendo, qui ti dicono che se a mezzanotte ti immergi tra queste onde, diventerai immortale e resterai eternamente giovane. Devi essere nudo e deve splendere la luna piena. Soprattutto devi avere la forza di nuotare attorno ai tre grandi faraglioni che disegnano la linea dell’orizzonte.
Beh, sono già vecchio. No, grazie. Rinuncio all’immortalità.
Ecco allora Kouklia (Palaepaphos, cioè Paphos Vecchia ), distretto di Paphos, la città che si trova a circa 15 km da qui.
Già nel II millennio a. C. era centro religioso che richiamava fedeli da Cipro e da tutto il Mediterraneo.
Qui si adorava una dea della fertilità fin dall’età del rame (3900-2500 a. C.), raffigurata con le fattezze della maternità. Certo non è casuale che il mitico luogo della nascita di Venere sia vicino. La leggenda vuole che uno dei guerrieri reduci dalla guerra di Troia si fermasse qui e fondasse tempio ed altare dedicandoli a Venere. Era Agapenor, re della peloponnesiaca Tegea.
Nel museo locale l’evento della mitica guerra combattuta in nome della bellezza di Elena è celebrato in un favoloso sarcofago. Sui due lati lunghi reca, in bassorilievi dipinti, un episodio dell’Iliade e uno dell’Odissea (e quindi è posteriore alla diffusione dei due poemi, probabilmente fine del V secolo a. C.). Da una parte vi sono scene di una battaglia combattuta sotto le mura di Ilio. Dall’altra l’episodio ben noto di Polifemo, già accecato da Ulisse, che palpa le pecore in procinto di uscire dalla caverna e andare al pascolo. Vuole accertarsi che non le cavalchino i suoi prigionieri. E l’astuto re di Itaca si era infatti legato sotto il ventre delle pecore. E così avevano fatto i suoi compagni. Su uno dei lati corti è raffigurato un guerriero che porta in spalle un compagno caduto in battaglia. Sul lato opposto una leonessa lotta contro un cinghiale.
Secondo Omero l’altare sorgeva all’aperto, circondato da mura con porte dai colori vivaci. Non si adorava una statua, ma una pietra conica. Anche qui torna il mito delle pietre da cui è emersa Venere e tutto sembra collegarsi.
Quello che non si collega è la pietra conica, ora esposta nel piccolo museo di Kouklia: è nera mentre le testimonianze antiche dicono che era bianca. Resta l’enigma dunque, immerso in un’aura miracolosa: quando pioveva, dice il mito, la pietra non si bagnava.
A ribadire la sacralità del luogo è il racconto secondo cui i re di Pafos erano anche sommi sacerdoti del culto. Il tempio è forse il più antico e certamente il più longevo dell’intera isola.
Il museo propone ancora un pezzo eccezionale, il mosaico raffigurante una sensuale Leda, colta di spalle, con l’immancabile cigno. Che è il birbante di Zeus in una della sue trasformazioni utili ad avvicinare bellissime fanciulle. Dall’ennesima scappatella coniugale del re degli dei, secondo il mito, nacquero Elena e Polluce in coppia con Clitennestra e Castore che invece venivano dal seme di Tindaro, re di Sparta.
Nella vicina Kato Pafos ci attende la casa di Dionysos con i suoi favolosi mosaici tutti fruibili grazie ad un articolato sistema di passerelle. Piramo e Tisbe, così ben narrati da Ovidio nelle Metamorfosi (IV, 55-166, i Giulietta e Romeo dell’antichità), Apollo e Dafne, Ganimede rapito in cielo dall’aquila dalle immense ali (nello scintillante mosaico l’aquila sembra quasi abbracciare il bellissimo ragazzo destinato a fare da coppiere agli dei sull’Olimpo), Narciso che si specchia nell’acqua, le quattro stagioni. E soprattutto, al centro, Dioniso che regge un grappolo d’uva, mentre Akmè, la ninfa, beve vino. Un carro di otri è trainato da buoi e guidato (?) da due ubriachi. Una iscrizione attesta che sono “i primi bevitori di vino”.
Ancora tempo, dopo un pranzo in una trattoria del porto a base di gamberoni appena pescati, per le Tombe dei Re.
In greco Τάφοι των Βασιλέων / Tafoi ton Basileon. Non ospitavano re in senso stretto ma alti funzionari. Il nome se lo sono guadagnato per la loro magnificenza e per la bellezza del panorama sul mare che avvolge e affascina. Le tombe (le più antiche risalgono al IV secolo a.C.) sono scavate nella roccia. Parecchie sono visitabili coi loro colonnati e i loro cortili interni: vere e proprie case da godere per l’eternità. Momento straordinario, di alta intensità. Sono state sottoposte ad uno scavo sistematico solo negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso grazie al lavoro di Sofocle Hadjisavvas, poi direttore delle Antichità della Repubblica di Cipro.
LIMASSOL
(100mila abitanti, seconda città di Cipro, da Νέμεσσος / Nemesos, cioè che sta in mezzo, tra le antiche Amathous e Kourion)
A Limassol vi furono stanziamenti fin dal secondo millennio a. C. Costruita tra due antiche città, Amatunte e Kourion, durante la dominazione bizantina era conosciuta come Neapolis ( cioè nuova città). A metà degli anni Settanta, con l’occupazione turca della parte nord dell’isola, divenne il maggior porto di transito del Mediterraneo. Polo turistico di prima grandezza e vivace per le sue attività culturali.
Proprio nel cuore storico di Limassol sorge il castello medievale oggi trasformato in museo. Reperti che vanno dal 400 al 1870: cannoni, incisioni su legno del XVII e XVIII secolo, dipinti, pietre tombali, statue, armature, monete, terrecotte, oggetti in metallo e in ceramica, manufatti in vetro e marmo.
Qui vicino, nella cappella dedicata a san Giorgio, Riccardo I d’Inghilterra, il Riccardo Cuor di Leone delle saghe popolari, sposò, il 12 maggio 1191, Berengaria di Navarra. Una travolgente storia d’amore che si intreccia con la storia dell’isola.
Berengaria era figlia di Sancho VI di Navarra e Sancha di Castiglia. Eleonora d’Aquitania, madre di Riccardo, vedeva con affetto il rapporto. Contro il volere del marito, Enrico II, che obbligò Riccardo a sposare Alice (Adele) di Francia, figlia di Luigi VII il Giovane. Matrimonio politico.
Riccardo, l’inquieto erede al trono, partecipò alla preparazione della terza crociata che si mosse da vari territori europei nel 1189. Anno fondamentale perché muore re Enrico e sale al trono Riccardo. Il quale vive una serie di rocambolesche avventure. Con una svolta clamorosa. Ripudia Alice, restituisce la dote e sposa Berengaria. Il giorno successivo al matrimonio il vescovo di Evreux proclama Berengaria regina d’Inghilterra.
Riccardo aveva avuto i primi contatti con Cipro nel 1191. Quando vi sbarcò era governatore il bizantino (e crudelissimo) Isacco Comneno. Il Comneno promise aiuti ai crociati ma poi tradì l’impegno. Riccardo dovette misurarsi con lui e lo sconfisse.
L’isola vide la fine brusca del dominio bizantino e divenne inglese.
Riccardo sposa la sua Berengaria e qualche mese dopo, nel 1192, vende Cipro ai Templari, subito esosi e durissimi nell’imporre tasse. I Ciprioti si ribellano e Riccardo deve trovare un diverso acquirente.
Fu Guido di Lusignano, della potente famiglia franca originaria del Poitou.
Il Regno di Cipro dei Lusignano durerà fino al 1489. Finì con Caterina Cornaro, madre dell’ultimo dei Lusignano, Giacomo III. La regina abdicò a favore della Repubblica di Venezia e, in ricompensa, le fu data Asolo. Unica corte ammessa entro i confini della Serenissima Repubblica.
Sotto il regno dei Lusignano i cavalieri ospitalieri di san Giovanni (l’ordine religioso cavalleresco nato nella prima metà dell’XI secolo a Gerusalemme) ottennero nel 1210 il permesso di costruire a Kolossi, vicino al villaggio di Episkopi, un castello/fortezza in cui stabilirono il loro quartier generale, la “commanderie”.
Ancor oggi il vino che si produce da queste parti (un vino liquoroso simile al nostro Marsala) si chiama “commandaria”. Citato, pare, già da Esiodo, fu il vino che bagnò le nozze di Berengaria e Riccardo il quale avrebbe proclamato: “Questo è il vino dei re e il re dei vini”.
Il nome è dunque relativamente recente ma si tratta del vino prodotto ininterrottamente da più tempo.
Il castello fu poi veneziano e fu abbandonato con l’arrivo dei Turchi. Oggi si visita il massiccio torrione, cui si accede per mezzo di un ponte levatoio. Un primo e un secondo piano, la terrazza soprastante. Massiccio, inespugnabile.
Vicino, sorgono i resti di un antico zuccherificio. Su queste terre gli ospitalieri coltivarono la canna fino a quando l’Europa non fu invasa dalla più economica e abbondante produzione caraibica.
Sulla baia di Episkopi si affaccia il sito archelogico di Kourion. È ciò che resta di una prosperosa città fondata, si dice, da alcuni reduci della guerra di Troia e famosa per il tempio di Apollo Ylatis risalente al VII secolo a. C.
Splendidi i mosaici della cosiddetta casa di Eustolio, una grande, ricca e raffinata villa costruita nel V secolo d. C e poi divenuta, forse, stabilimento balneare pubblico. Eustolio era di religione cristiana e ci augura, nelle iscrizioni inserite nei luminosi mosaici, buona fortuna. Davvero impressionante l’immenso teatro, ancora in funzione, che si affaccia sul mare e possiede un’acustica perfetta.
Vicino a Limassol, il sito archeologico che mi ha maggiormente emozionato. Quanto resta di Amathous / Amatunte. Luogo magico, citato da Catullo e Ariosto.
Lo canta anche d’Annunzio in Alcyone: Certo, d’olio di sèsamo son unte / quelle tue ciocche in forma di corimbi. / Certo, ritrovi or tu nel gran dolciore / del Mar Cilicio l’obliato carme / che alla Cipride piacque in Amatunte (Sogni di terre lontane, Le carrube).
Qui, già nel III millennio a. C., era attivo un opificio per l’estrazione e la lavorazione del rame. Vi sorgeva un tempio di Afrodite (inconsueto e misterioso, nella versione androgina di Afrodito, rappresentato con la barba). Oggi si visitano i resti della basilica, sull’acropoli, eretta tra VI e VII secolo a. C. al posto del tempio di Afrodite distrutto nel corso del VI secolo da un sisma. Davanti, l’agorà cioè la piazza.
Amatunte enigmatica: la parte urbana è oggi sommersa dal mare. Resta lo splendore abbacinante dei marmi del colonnato. Un luogo dello spirito.
In cui vivono coloro che Ovidio chiama “propetidi”, fanciulle colpevoli di aver negato la divinità di Afrodite. La dea le punì invasandole con uno sfrenato desiderio sessuale. Si prostituirono e poi furono trasformate in pietre (Metamorfosi 10, 238-242). Le “inventrici” della prostituzione: “furono le prime, a quanto si dice, a far commercio della loro bellezza, prostituendo i loro corpi”.
DA LIMASSOL A NICOSIA
Cipro e le montagne. Il principale sistema montuoso dell’isola è nella parte sud-ovest. Col suo monte Olimpo, 1953 metri, la cima più alta. D’inverno qui si scia.
Da Limassol per andare alla capitale Nicosia si devono attraversare vallate e contrafforti. Poco più di 80 km. Il paesaggio cambia ma resta sostanzialmente brullo. Delle foreste che coprivano i 9251 kmq dell’isola e ne facevano (col rame) l’ambita ricchezza, non è rimasto molto.
Omodos, poche centinaia di abitanti, 40 km a nord di Limassol. Nel sole del mattino ci si perde nei vicoli tortuosi. Alzo gli occhi e provo un brivido nel vedere il groviglio dei fili che distribuiscono l’elettricità. Prevale il bianco dei muri ma è tutto un rutilare di colori, soprattutto nelle effervescenti botteghe degli artigiani. Si lavora ai preziosi merletti. Egle non resiste al fascino del fatto a mano e acquista una colorata e (devo ammettere) bellissima borsa. Di scontrino non si parla nemmeno, in compenso dal prezzo di etichetta calano dieci euro.
Nelle caffetterie servono caffè freddo alla turca, squisiti gelati al pistacchio e spremute di melograno (a proposito: in nessun posto del mondo ho bevuto un espresso all’italiana fatto a regola d’arte come a Cipro).
A qualsiasi ora è possibile fare uno spuntino a base di meze, normalmente degli antipasti dall’aspetto cremoso che amalgamano tutto, dal pesce alle verdure. Hanno la stessa funzione golosa dei nostri cicchetti e sono gustosissimi.
Come bevanda tipica si può assaggiare l’hardaliye,un distillato di mosto d’uva, erbe varie e grani di senape che inibiscono un’eccessiva fermentazione. Praticamente analcolico o quasi. Molto più impegnativa invece la zivania, un distillato di vinacce, dai 45 gradi in su. Ha un gusto aromatico, né dolce né troppo secco. Si serve ghiacciata, talora con infusione di cannella.
Comodissimo parcheggio a due passi dal centro, con la caratteristica fontana a quattro lati e più rubinetti (qui l’acqua non si spreca).
Si raggiunge il monastero di Stimios Tavros / Santa Croce, uno dei più antichi di Cipro che è anche chiesa per la comunità di Omodos.
In una nicchia dell’iconostasi è conservato un frammento della croce del supplizio di Gesù, uno dei tanti (troppi?) sparsi nel mondo. Con alcuni filamenti delle corde che legarono Cristo durante la passione. Dono di Elena, madre dell’imperatore Costantino.
Il complesso ospita vari musei, come il museo delle icone bizantine, il museo della lotta dell’EOKA (la guerra di liberazione dagli inglesi, 1955-1959), il museo di arte popolare e una galleria d’arte.
A Omodos prosperano molte aziende vinicole che offrono assaggi.
Si visita un’antica cantina. Spremitura molto particolare. Niente follatura: l’uva viene schiacciata da un tavolaccio (una sorta di maglio piatto) in legno azionato a bilanciere da un lungo trave. Il movimento è assicurato da una vite. Le foto esemplificano.
Si nota anche un enorme alambicco: ma che mai si distillerà?
Poi, sulla strada per Nicosia, le vallate delle chiesette, anonime all’esterno ma in realtà scrigni che contengono autentici tesori. Patrimoni dell’Unesco e proibizione di fotografare.
Qui vive l’anima religiosa di questo popolo. Le divinità mediterranee della fecondità nella notte dei tempi, poi gli dei dell’olimpo greco, poi il dio cristiano con il suo stuolo di angeli e di santi.
Villaggio di Galata, forse da “galataes”, i venditori di latte. La chiesa di Panagia Podithou è stata costruita nel 1502 e presenta affreschi coevi di stile cosiddetto italobizantino. Ha il suo emblema nella raffigurazione della comunione degli apostoli. Colori vivaci e profondità prospettiche (segno che il bizantino primitivo è già alle spalle) caratterizzano la crocifissione e la Madonna in trono. Sono settecentesche invece le immagini di Pietro e Paolo.
La vicina chiesa dedicata all’arcangelo Michele è a sua volta riccamente affrescata. L’agonia nel Getsemani, la lavanda dei piedi, Pietro che rinnega Gesù. Tra le pitture, di recente, è stata scoperta la firma dell’artista, Simeon Axenti, non lontana dal nome della famiglia dei donatori, i veneziani Zaccaria.
A Nikitari, una ventina di km dall’antico villaggio di Kakopetria, la perla assoluta, la chiesa di Maria tou Asinou tra eucalipti e pini. Il nome deriva da Asine, città greca dell’XI secolo a. C. Era parte di un complesso molto più esteso. Un’iscrizione sopra l’ingresso meridionale del tempio, menziona Magistros Nikiforos di Ischyrios come fondatore del monastero. Conserva il più bel ciclo di affreschi di Cipro, apice della pittura bizantina nell’isola. I più antichi risalgono al XII secolo.
Anche qui una clamorosa comunione degli apostoli, una poderosa presentazione di Maria al tempio, una serie di scene della vita di Gesù (vera biblia pauperum), Gesù che scende negli inferi dopo la resurrezione, una affollata (e inquietante) raffigurazione dei 40 infreddoliti martiri di Sebaste.
Nel nartece dove dovevano fermarsi coloro che erano ancora in attesa del battesimo, spaventose immagini delle pene che aspettano i peccatori all’inferno. Prevale la figura crudele del serpente, protagonista di tanti dei supplizi inflitti.
Ritorna, come in mille altri luoghi, l’immagine di san Giorgio che trapassa con la lancia il drago.
NICOSIA
(116mila abitanti, la capitale, etimo incerto, forse da san Nicola, forse connesso a νίκη / vittoria, forse dal termine λευκός / bianco, splendente)
Bella Nicosia, vivida e affascinante. Purtroppo l’unica capitale europea divisa in due frazioni da un confine militare (la cosiddetta linea verde). Come l’intera isola: a sud la Repubblica di Cipro, nella parte settentrionale la Repubblica di Cipro del Nord, riconosciuta solo dalla Turchia. Tra le due parti vi è una terra di nessuno pattugliata dalla missione UNFICYP delle Nazioni Unite.
Per raggiungere la cattedrale di san Giovanni si passa davanti all’arcivescovado (e centro culturale) dedicato al vescovo Makarios, alla biblioteca e al poderoso monumento che rievoca la liberazione dagli Inglesi.
La cattedrale propone, in una serie di affreschi settecenteschi, la vita dell’evangelizzatore san Barnaba. Cipro ne ospita la tomba vicino a Salamina. Qui vengono consacrati i vescovi dell’isola.
La basilica fu costruita a partire dal XIV secolo da parte di cristiani ortodossi provenienti dalla Siria. È decorata da affreschi di epoche diverse. La presentazione di Gesù al tempio, una emozionante annunciazione, Gesù dodicenne tra i dottori, una memorabile trasfigurazione, un “tutti i santi” che certo serviva a illustrare e a insegnare. Siamo letteralmente avvolti. Immersi.
Poi, proprio in centro della città, il piccolo ma ricchissimo museo archeologico. Indimenticabile. Cose mai viste, dai primi abitatori dell’isola al periodo bizantino con la sua raffinata arte orafa.
Afrodite, Marte, le divinità ctonie, la gigantesca statua bronzea di Settimio Severo (da far impallidire i bronzi di Riace, non esagero). E, in una stanza in fondo al museo, la meraviglia assoluta.
Proveniente dal santuario di Agia Eirini (in turco Akdeniz, un villaggio situato nella baia di Morfou, parte nord di Cipro) una incredibile raccolta di statue votive.
Ho pensato: “Anche Cipro possiede il suo piccolo esercito di terracotta, come la cinese Xi’an”. Miracoloso. 2mila statue di terracotta scoperte da una equipe svedese attorno al 1920. Le più antiche risalgono a 2700 anni fa, da pochi cm ad altezza naturale. Vita pubblica, religione, manovre militari: tutto è raccontato in modo palpitante. Tori, sacerdoti, guerrieri, contadini. I sacerdoti hanno copricapi con corna di toro che tornano spesso, anche nell’Apollo bronzeo di una sala adiacente. Segno di fecondità.
Nicosia del nord, l’“altra” Nicosia, quella turca. Proprio sul confine consumiamo il pranzo in un ristorante che sfrutta il gran traffico del passaggio ma cucina benissimo. Gamberi, fettuccine e una salsa indecifrabile ma squisita. Davanti a noi un murales ricorda il genocidio in atto a Gaza.
Passaporto in mano e doppio controllo. Sarà così anche all’uscita. Io soffoco sempre in situazioni del genere. Ma fai due passi dentro la Nicosia turca e ti senti travolgere dal movimento e dall’andirivieni.
Il caravanserraglio con porticati su più piani. Ospita caffetterie e mercatini. Si contratta su tutto, perfino sul caffè. Si paga in lire turche ma gli euro vanno benissimo e si può precisare che si vuole il resto in euro.
Nelle bottegucce i negozianti ti guardano e danno subito il prezzo in euro.
Librerie con mucchi, pile, cumuli di volumi: come fai a cercare? Subito fuori, un grande negozio con un’insegna che è impossibile non notare, Moda italiano. Vagli a dire che moda è femminile. Qui si comperano tutti i marchi del lusso mondiale. Magari tarocchi, difficile dire. Il problema è portarli “fuori”: non sempre si è convincenti nel dire bugie ai funzionari della dogana.
Dietro una svolta nel dedalo di viuzze, ecco il magazzino coperto che ha come unica insegna una data, 1932. È il mercato municipale di Bandabuliya, come reca un’iscrizione, e la data è quella dell’anno in cui fu inaugurato. All’interno c’è tutto, ma proprio tutto. Una settantina di negozi. Banconi di verdura freschissima, negozi di alimentari, caffetterie che esibiscono monumentali narghilè per chi desidera, rigattieri e antiquari veri e propri.
Ovvio che al mercato della Nicosia turca cercassi un macinino (del tipo “nomadico”, noto anche come 7 grani) per la mia raccolta. Ne vedo uno, mi spara 60 euro. So che valore hanno, no grazie. Due negozietti più in là, più bello e più antico… 10 euro. Vabbè.
Lo spettacolo dei vorticosi danzatori dervisci. I “mevlevi”, una tradizione che risale al XII secolo. Impressiona. 8 euro per ammirare. Una cosa per turisti, certo. Ma non dimentichiamo che si tratta di una pratica di meditazione mistica, una espressione di religiosità profonda.
Spunta il minareto della moschea. Un tempo era la basilica di santa Sofia costruita ai primi del 1200 da Enrico I di Lusignano. Si lasciano le scarpe all’ingresso. L’interno è sconfinato e vuoto.
Io vedo e fotografo la “scala di Maometto”, segno fisico del Miʿrāj di Maometto, cioè della sua salita alla contemplazione di Dio. La sūra XVII del Corano (la Sura del Viaggio notturno) recita: “Gloria a Colui che rapì di notte il Suo servo dal Tempio Santo al Tempio Ultimo, dai benedetti precinti, per mostrargli dei Nostri Segni. In verità Egli è l’Ascoltante, il Veggente”.
Tema per me profondamente coinvolgente perché sto lavorando ad un libro sui rapporti tra Dante e l’Islam e il libro “La scala di Maometto” potrebbe essere stato il tramite della conoscenza da parte del Sommo Fiorentino dell’aldilà islamico cui si ispirò copiosamente.
Un rinfrescante caffè turco in uno dei locali del caravan serraglio, non malaccio, dai. E lasciamo questo mondo incredibile e indimenticabile.
Il nostro albergo non è che a qualche centinaio di metri.
Con un confine in mezzo.
Ed è ancora confine, attraversando la zona inglese. Per raggiungere Salamina e la venezianissima Famagosta, presidiata ancor oggi dal leone di san Marco.
Salamina è uno dei più grandiosi siti archeologici dell’intero Mediterraneo orientale.
Il gymnasium con i suoi colonnati che delimitano la palestra vera e propria e i marmi intarsiati. Poi le immense terme che attestano ricchezza, popolazione numerosa, eleganza, evoluta vita sociale. Davvero possenti e impressionanti. Una breve passeggiata per raggiungere l’anfiteatro a sua volta emozionante. Costruito in età augustea, è ancora usato per stagioni teatrali con la sua capacità di 14mila spettatori. Anche qui acustica assoluta.
Famagosta, in greco Αμμόχωστος /Ammochostos; in turco Gazimağusa. Letteralmente “sommersa dalla sabbia” anche se qualcuno ha voluto sentirvi “fama Augusti”, il prestigio di Augusto.
Fu fondata da Tolomeo II Filadelfo nel III secolo a. C. col nome di Arsinoe. Ebbe splendori ma anche decadenza e abbandono. Nel VII secolo ripopolarono questa zona gli abitanti di Salamina attica che ne erano stati scacciati dagli Arabi del califfo Mu’āwiyah. Si portarono dietro il nome della loro isola fondando a loro volta la Salamina qui vicino.
Fu capitale con Guido di Lusignano, re di Cipro e di Gerusalemme nel 1291. Nel 1371 passò ai Genovesi e nel 1489 ai Veneziani che la fortificarono in modo (quasi) inespugnabile.
Sì, proprio qui arrivò la rapace e capace Serenissima.
I Veneziani nel 1489 posero fine al regno indipendente di Cipro. Di quel periodo restano nell’immaginario figure mitiche come Caterina Cornaro, poi approdata ad Asolo, o letterarie come Otello e Desdemona. O Marcantonio Bragadin, eroico difensore di Famagosta.
Bragadin, tra 1570 e 1571, seppe resistere alle preponderanti forze di Lala Kara Mustafa Pascià (in 6mila contro 200mila appoggiati da 1500 cannoni) che già aveva espugnato Nicosia.
La cavalleria turca, subito dopo la distruzione di Nicosia, raggiunse di slancio Famagosta. I cavalieri portarono, infilzate sulle lance, le teste del governatore Dandolo e degli altri dignitari e magistrati di Nicosia. Per spaventare.
Dopo un’eroica resistenza, Bragadin capitolò il primo agosto 1571. La resa prevedeva salva la vita per gli occupanti, ma lui fu sottoposto a terribili torture protratte per più giorni e poi scuoiato mentre era ancor vivo. La pelle, riempita di paglia, fu fatta sfilare per le vie di Famagosta in groppa a un bue.
Ho provato un sentimento dolorante, di contraddizione profonda davanti alla moschea di Famagosta. Era la cattedrale di san Nicola, poi moschea di Santa Sofia (Ayasofya) di Mağusa. Fu consacrata come chiesa cattolica nel 1328. Divenne moschea dopo la caduta della roccaforte. Dal 1954 l’edificio è dedicato a Lala Kara Mustafa Pascià, il conquistatore. Come può la religiosità del folgorante gotico cristiano conciliarsi con la religiosità dell’interno islamico? Il minareto che spunta tra le guglie gotiche è culturalmente incongruo. I piedistalli che un tempo reggevano le statue sulla facciata e accanto al portali, sono malinconicamente vuoti e inutili.
Ho qualche difficoltà a capire, ma ovviamente accetto.
E comunque qui il segno della lacerazione è profondo e ben visibile.
Resta, tragico emblema, il quartiere di Varosha alla periferia di Famagosta, lasciato dai Greci in poche ore davanti all’avanzata turca e divenuto città fantasma. In abbandono e rovina, preda di ratti e serpenti dopo essere stato, con i suoi hotel, i suoi negozi, le sue ville eleganti, meta esclusiva di vip di tutto il mondo. Non si entra, è tutto recintato. Girarci attorno è orrore, allucinazione. Sembra un film sul disastro nucleare, fotogrammi di The Day After. Nell’agosto del 1974 gli abitanti dovettero lasciare tutto, da un momento all’altro: case, oggetti, automobili. Ora le finestre e le insegne cadono a pezzi, pencolano. Angosciante messaggio.
A qualche km il monastero di san Barnaba, oggi museo delle icone. Antiche ma anche relativamente moderne. Alcune tolgono il fiato, splendono come soli nella mezza luce dell’edificio. In una vicina cappella ipogea è sepolto il santo.
Cipro bellissima e lacerata. Nel segno del sacro. Storia, fascino, cultura che ammaliano il visitatore. E nel segno della contraddizione, però.
Terra di contrasti e cruente guerre. La posizione strategica (a ridosso di quello che ora chiamiamo Medio Oriente), le ricche foreste (oggi purtroppo il paesaggio è brullo), la scoperta del rame (già 6mila anni fa) ne hanno fatto un territorio ambito. Qui si sono stanziati Micenei, Romani, Bizantini, Inglesi, Franchi, Genovesi, crociati di varie nazionalità. E Veneziani, dal 1489, quando posero fine al regno indipendente di Cipro.
Dopo di loro iniziò la dominazione ottomana che segna anche la storia recente della gente di Cipro divisa tra una minoranza turca (e mussulmana) e una maggioranza greca (di fede ortodossa).
I Ciprioti hanno sempre aspirato all’unificazione con la Grecia. Nel 1974 la giunta militare di Atene appoggiò un colpo di stato in questa direzione. Ankara rispose inviando l’esercito. Sbarcò il 20 luglio 1974 e in pochi giorni fece crollare la dittatura greca che vi era insediata. Oggi l’isola è divisa tra la Repubblica di Cipro e Cipro del Nord (riconosciuto solo dalla Turchia).
Popolo sereno, allegro, ospitale. Ma con qualcosa di silente, di non detto. A Nicosia, la capitale, devi girare col passaporto in mano. Surreale. La città è divisa in due con tanto di checkpoint . Quando passi la linea di demarcazione ti segue un poliziotto di controllo. E quando si entra a Famagosta un funzionario sale in pullman e scende all’uscita. In compenso l’area turca è tranquillamente frequentata dai grecociprioti che vanno a farci acquisti (compresa la spesa giornaliera) perché “di là” è tutto meno caro.
E serve ricordare anche la presenza di due basi militari, ad Akrotiri e Dhekelia, territori d’oltremare britannici.
Lo stato di Cipro esiste ufficialmente dal 16 agosto 1960 dopo una lunga lotta per l’indipendenza dall’Inghilterra che vi si era insediata con la cosiddetta Convenzione di Cipro del 4 giugno 1878. Una vicenda complessa che portò, il 5 novembre 1914, all’annessione di Cipro all’Impero britannico.
Nel 1948 re Paolo di Grecia dichiarò che Cipro desiderava unirsi alla Grecia. E la Chiesa ortodossa attestava che la quasi totalità dei Gregociprioti era per l’enōsis, per l’unione. Il gruppo paramilitare EOKA nella seconda metà degli anni 50 guidò l’insurrezione e il primo presidente del nuovo stato fu l’arcivescovo ortodosso Makarios III.
Non è facile decifrare l’anima di questa terra tormentata.
Grazie a Egle, attenta e straordinaria compagna di viaggio. Da sempre. Mio vincastro e mio usbergo.
Grazie a Lino Bianchin, Giorgio Forlin, Nevio Saracco della trevisana Fondazione Feder Piazza che ha organizzato questa straordinaria trasferta in una terra incredibilmente ricca d’arte, storia e cultura.
E grazie a Maria Rosa, a Enza e Dino, a Paola e Bruno, a Daniela e Francesco Paolo, ad Adelaide e Giuseppe, ad Annalisa S. e Luigi, a Mara e Giovanni, a Maria Irene, ad Annalisa V., a Rosa, a Carla, a Maria Luisa, a Cristina, a Fernando, a Lino, ad Annalisa L., ad Anna, a Tiziana.































































































































