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Barcellona 2015

BARCELLONA, LA BELLA

IO E GAUDÍ

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Barcellona la chiassosa, Barcellona la multicolore, Barcellona la viva.
1300 km per arrivarci, qualcosa di più a tornare.
Con Egle, navigatrice sublime e grande compagna, sul mio camper.
Una decina di giorni intensi, viaggio e soggiorno.
Qui ti puoi appoggiare a Gaudí, senza mancargli di rispetto. Una delle statue che lo ritraggono, almeno.

12 maggio 2015
La prima tappa è Cagnes-sur-mer, cittadina provenzale di 50mila abitanti, a una decina di chilometri da Nizza, sede di un famoso ippodromo. Qui ha vissuto a lungo il pittore Pierre-Auguste Renoir in una casa che dopo la sua morte è divenuta il Museo Renoir. Arriviamo a metà pomeriggio, lasciamo il camper nel camping Le Colombier (dei singoli campeggi dirò -ed esprimerò valutazioni- alla fine) e ci avviamo verso il centro. Mappa della città presso il bureau del turismo. Decidiamo di salire sulla collina sovrastante dove sorge la rocca, un palazzo Grimaldi. Presso la vicina stazione delle corriere, in Avenue Renoir, si prende il 44, un autobus navetta gratuito. Di dimensioni ridotte e la salita verso la rocca ne evidenzia il motivo: vicoli strettissimi, curve in cui serve calcolare il millimetro. L’autista è bravissimo, ma sulla carrozzeria qualche segno c’è. E anche sui muri e sulle macchine parcheggiate. Il punto di arrivo è una splendida terrazza naturale sulla pianura e sul mare. Ci si siede sotto il pergolato di un bar e si asciuga una sapida birra locale. Il ritorno la facciamo a piedi, per godere di ogni singolo angolo di questa cittadella medievale. Poi passeggiata nel corso principale.

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13 maggio
Tappa a Salses-le- Château (Salses in catalano, ci dovremo abituare alle indicazioni bilingui, soprattutto in Spagna), nel dipartimento dei Pirenei Orientali. Paesino di poche anime ma con un buon campeggio (Camping International du Roussillon). Siamo sul confine della zona catalana francese. Più di mille chilometri in due giorni, tiriamo il fiato. Con un po’ di mugugno. Le autostrade francesi (intasate ma tutto sommato molto scorrevoli) costano un occhio della testa. Anche venti euro per un tratto di qualche decina di chilometri.

14 maggio
Sfioriamo Perpignan (cittadina che amo, ci sono stato più volte per motivi professionali legati al rugby) e siamo in Spagna. La prima meta è Empúries (in catalano; in spagnolo Ampurias, in greco antico Εμπόριον e in latino Emporiae). Scalo navale e centro commerciale, come indica il nome stesso. Il sito è stato colonizzato dai Greci a partire dalla prima metà del VI secolo avanti Cristo. Insediamento antichissimo, dunque, col suo porto e i suoi templi-santuario. Il massimo splendore, Empuries, lo ha raggiunto nel II secolo avanti Cristo. Il sito è un cantiere in fieri perché molto è ancora sotto terra. In ogni angolo ci sono archeologi al lavoro.

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Case, botteghe, luminosi pavimenti musivi. Per molti anni, qui Greci e Romani convissero. Si visita prima l’insediamento urbano greco e poi la cittadella romana che fu accampamento militare e quindi luogo fortificato. Se il forum è ricostruito (ma in modo molto suggestivo), fanno impressione le mura possenti, con una porta dalle dimensioni esatte per il passaggio di un carro. Appena fuori della porta c’è lo spazio dei giochi con l’ampio anfiteatro.
L’ingresso costa 5 euro con un audio guida molto ben fatta (ma non in italiano). All’interno della zona archeologica c’è un comodissimo parcheggio ombreggiato.

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Poi Nazionale 11 fino a Barcellona. Ogni 100 metri (talora anche meno) una proposta al femminile. Davvero tante, le belle signore al lavoro. In certi punti sono gomito a gomito con gli operai della manutenzione stradale. Chiacchierano, ci bevono il caffè assieme. O forse la Estrella, la amarotica birra locale.
Il campeggio che abbiamo individuato è proprio sulla costa, a El Masnou tra Montgat e Premià de Mar, a ridosso delle alture della Serralada Litoral.
Siamo a una decina di chilometri da Barcellona e la stazione del metro è a due passi. La prima cosa di cui ci accorgiamo è che qui sono giorni di intensa campagna elettorale, si vota tra sette giorni. Non ci sono manifesti, ma i volti dei candidati sono appesi, a mo’ di bandierine, su ogni palo utile, segnali stradali e lampioni.
Sulla fronte di uno di loro, particolarmente spaziosa, un pennarello paziente ha tracciato -su tutti, ma proprio su tutti- la parola ESTAFA, truffa cioè, come mi dice subito il mio dizionarietto tascabile. Di questi tempi uno non fa neanche tanta fatica a immaginare il motivo.

15 maggio
Comodissimo il metro. Ne passa uno ogni 20 minuti dalle cinque del mattino a mezzanotte. Metà in superficie metà in tube. La corsa costa due euro e mezzo. Scendiamo in Plaça de Catalunya. E usciamo proprio sotto le vetrine di uno dei tanti negozi Desigual, borse e vestiti, come apprendo al primo, tragico colpo d’occhio.
Significa lunga attesa e ponderata scelta (attesa mia, scelta di mia moglie). Un solerte e gentile commesso (uno strafico di quelli che le ragazzine si farebbero su due piedi) ci attiva subito la tessera sconti e ci avverte che è attiva per spese sopra i cento euro. Non ho bisogno di guardare negli occhi mia moglie per sapere che questo non costituirà problema.
In più ci becchiamo anche l’omaggio molto trendy da queste parti: una sorta di asta da reggere in mano e in cima alla quale mettere il proprio cellulare. Certo, proprio così: la macchinetta per farsi i selfie più comodamente. Ma dico io.
Usciamo con una borsa multicolore e un vestito.
Barcellona è città caotica e tenera, bella e magmatica, con le strade tagliate ad angolo retto e intersecate dalla grande Diagonal. Una città che fa camminare i pedoni al centro della strada e fa correre le macchine ai lati. Chapeau.
All’ufficio turismo, in uno dei vertici della piazza, ci accoglie la sagoma di Neymar, uno dei talenti brasiliani del calcio targato Barça.
È, prima di ogni altra cosa, la città di Antoni Gaudí y Cornet, l’architetto che è nato nella vicina Reus nel 1852, ha segnato il tessuto urbano ed estetico di Barcellona (nel meglio e però anche nel peggio) e qui è morto nel 1926.
Gaudì furbo e diabolico, geniale e visionario. Ha rimescolato lezione barocca e lezione gotica in un mix ineguagliato. Non ha avuto paura di cadere nel kitsch. Innovatore assoluto e intelligente osservatore del passato. Follemente affascinante dunque.
Roba sua il Passeig de Gràcia, la strada più famosa dell’Eixample. Significa, in castigliano, “ampliamento” ed è la Barcellona a reticolo costruita a partire dalla seconda metà del secolo XIX.
È anche la strada delle boutique e dello shopping, lunga un chilometro e mezzo e tutta ombreggiata da platani.
Reca la firma di Gaudì la Casa Batlló, al civico 43, dal 2005 patrimonio dell’umanità. Merito e intuizione di un industriale tessile, Josep Batlló, che nel 1904 affidò a Gaudí l’incarico di rimettere a nuovo un modesto palazzo acquistato relativamente a pochi soldi. Ecco, in pietra arenaria, i motivi dell’arte nouveau (soprattutto animali fantastici) nella parte bassa della facciata. E nella parte centrale la luce abbagliante dei dischi di maiolica frammentata e di vetri istoriati di diverse dimensioni e forme. È la tecnica del trencadís.

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Sopra, le tegole di ceramica vetrificata e colorata. Sono le squame di un serpente. L’insieme, con la grande tribuna/terrazza, i balconi e le vetrate, suggerisce l’idea che l’architetto sia in realtà un pittore che proietta su una superficie grande la superficie piccola della sua tavolozza fatta tutta di lustrini e vetracci.
E subito dopo, sul lato opposto della strada, al civico 92, la Casa Milà, detta La Pedrera, cioè cava di pietra (visto che la facciata è in pietra grezza), costruita tra il 1905 e il 1912 su incarico di Roser Segimon e Pere Milà per il loro matrimonio.
Non una sola linea retta sulla facciata e nemmeno nei cortili interni e negli appartamenti. Gaudì ha anticipato il plan libre di Le Corbusier. La struttura è costituita da una griglia irregolare di travi metalliche e di pilastri di materiali e dimensioni variabili, all’interno della quale si trovano le tradizionali volte catalane in laterizio.
Innovativa anche, nel piano interrato, la struttura metallica a ruota di bicicletta. Nel sottotetto la copertura è sostenuta da un gran numero di archi in laterizio. L’architetto ha dipinto un paesaggio montano costellato di cime e camini camuffati da esseri dall’aspetto surreale e fantastico. Io ho pensato anche alle teste dell’isola di Pasqua.
Qui Gaudì ha sperimentato cemento armato (ricoperto dalle ceramiche azzurre degli azulejos), il ferro battuto e il vetro armato che fa da pavimentazione trasparente di diversi balconi. Sul terrazzo di Casa Milà Michelangelo Antonioni ha girato una scena del film Professione: reporter (The passenger, 1975), con Jack Nicholson e Maria Schneider.
Ci sfrecciano attorno microvetture elettriche, tutte gialle. Pochi euro per affittarle, ma noi preferiamo girare a piedi.

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La Sagrada Família (propriamente Temple Expiatori de la Sagrada Família) non è lontana. Ed è una delusione, questo cantiere eternamente aperto. I lavori iniziarono nel 1882 sotto il regno di Alfonso XII di Spagna. Gaudí subentrò come progettista solo l’anno dopo. Aveva 31 anni ma vi dedicò praticamente tutta la vita. Nella sua storia la Sagrada Família ha conosciuto di tutto. Interruzioni e accelerazioni, incendi e dispute politiche. Si dice, ma non si capisce su che base, che dovrebbe essere completata nel 2026, a 144 anni dalla posa della prima pietra.
A me è apparsa come una sorta di bordello in cui ogni traccia di sacro e metafisico è confusa e offuscata da mille altre cose. Non il massimo, per una chiesa. Piuttosto una trappola per turisti, molto ben reclamizzata, questo sì. E infatti la fila fuori della biglietteria è molto lunga. Faccio fatica a ricordare la sua consacrazione ad opera di Benedetto XVI, il 7 novembre 2010.
L’edificio non portò bene allo stesso suo artefice che ormai viveva praticamente al suo interno. Il 7 giugno del 1926 fu investito da un tram, il primo a circolare in città. Non fu riconosciuto perché era preso proprio male e vestito di conseguenza. Fu portato all’ospedale della Santa Croce, un ospizio per i mendicanti: Lo riconobbe soltanto il giorno dopo il cappellano della Sagrada Família. Morì il 10 giugno. È sepolto nella cripta della Sagrada Família.
In piazza mi compero una maglietta coi colori del Barça, la squadra di calcio che pratica il più bel football del mondo, e una per mio figlio. Una di quelle originali, che scendono in campo cioè. Bisogna provare ad acquistare per sapere che prezzo hanno. Per mio figlio, solo perché il mio Ghigo è il mio Ghigo.
Egle ed io ci dirigiamo verso la Plaça de les Glories Catalanes sulla quale si erge la Torre Agbar, realizzata dal francese Jean Nouvel. Un grattacielo, inconfondibile e suggestivo con le sue luci nella notte di Barcellona, per il quale l’architetto disse di essersi ispirato ai rilievi del Montserrat che circondano Barcellona e a un geyser d’acqua che si innalza verso il cielo. Io sarò triviale, scurrile e irriverente ma penso che assomigli a una enorme supposta. Mi vergogno molto e non ho il coraggio di dirlo a mia moglie.

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A noi interessa il grande mercato delle pulci che sorge nello spazio antistante e che si presenta con il suo tetto interno a specchio. Si alzano gli occhi e ci si vede camminare tra stand e bancarelle. È il Mercat del Encants, aperto dalle 7 alle 18 e 45 ogni lunedì, mercoledì, venerdì e sabato. Il nome non ha bisogno di traduzioni, davvero un incanto. Di tutto, proprio di tutto, su tre piani. Dall’antiquario di livello ai cumuli di indumenti stesi per terra. Trovo matite per la raccolta di Miriam, mia figlia, e naturalmente un macinino per la mia raccolta. Vorremmo pranzare in uno dei ristorantini del mercato (ho voglia di provare il polpo alla gallega, alla galiziana cioè) ma un improvviso blackout dell’energia elettrica mette tutto e tutti fuori combattimento. Ripieghiamo su un ristorantino gestito da cinesi con una frittura niente male.
Pomeriggio al Parco Güell. Anche questa opera di Antoni Gaudí è patrimonio dell’umanità. Progettato agli inizi del Novecento su commissione di Eusebi Güell e realizzato tra 1900 e 1914, doveva diventare una città-giardino. Furono però completate solo due abitazioni. In una abitò a lungo lo stesso Gaudí prima del suo definitivo trasferimento nel cantiere della Sagrada Família.
In cima alla scalinata principale con la fontana a forma di salamandra (simbolo alchemico del fuoco) si trova la sala che richiama un tempio classico greco. È la sala delle cento colonne (in realtà sono solo 85). Siamo sotto la piazza centrale del parco, delimitata da un sedile ad anse, che si sviluppa per 150 metri e ricorda le spire di un serpente.
Torniamo a piedi verso Plaça de Catalunya e la stazione del metro.

16 maggio
Il giorno della rambla.
1300 metri da Plaça de Catalunya al porto antico (Port Vell). Con tutte le deviazioni possibili.
Parola araba (raml vuol dire sabbia) che indica una strada ricavata da un corso d’acqua asciutto, interrato o coperto.
A dire il vero bisognerebbe parlare di più rambla diverse. C’è la rambla de Canaletes, che inizia dalla fontana di Canaletes; poi la rambla dels Estudis, con la Església de la Mare de Déu de Betlem, poi la rambla de les Flors (o de Sant Josep), con il caratteristico Mercat de la Boqueria. Quindi la rambla dels Caputxins (o del Centre) con il Gran Teatre del Liceu e la Plaça Reial. Infine la Rambla de Santa Mònica. Ma si chiama rambla anche la via che prosegue oltre Plaça de Catalunya, attraversando l’Eixample, fino all’Avinguda Diagonal. E la passeggiata che prosegue oltre il monumento a Colombo che incombe sul porto, prende il nome di Rambla de Mar.
Alziamo gli occhi. Una improbabile Marilyn Monroe e in un frufru bianco reclamizza da un balcone il museo erotico. Qualcuno fotografa ma in realtà non la bada quasi nessuno.

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Il nostro tentativo di fermarci a mangiare nell’universo rutilante e rumoroso della Boqueria (c’è di tutto, frutta, pesce, carne e ogni cosa appetitosa e invogliante) è frustrato dalla impossibilità di trovare un posto. E del resto non è che mi vada tanto di stare seduto sui trespoloni da bar. Ripiegheremo su un ristorantino poco distante (e io avrò il mio polipo -squisito- alla galiziana).
La Boqueria resta uno spettacolo unico: è il mercato più famoso (e tra i più antichi) di Spagna e il più grande della Catalogna con i suoi 2.583 metri quadrati e più di 300 bancarelle.

Troviamo mercatini ovunque. Nel porto, dove i gabbiani vengono così vicino da farsi toccare, e davanti alla Cattedrale. Qui si gira tra una ventina di chioschi davvero invitanti. Mi compero un mazzo di carte che raffigurano don Quijote, Sancho Panza, Dulcinea del Toboso e i mulini a vento. Mi tenta (e compero) anche un altro mazzo di carte. Stranissime, di forma circolare. Sono indiane. Non pretenderei di giocarci ma mi piacerebbe saperne almeno interpretare la simbologia.
La cattedrale è imponente. Massima espressione del gotico catalano e iniziata su insediamenti religiosi preesistenti da re Jaume II nel 1298, sorge sulla parte più alta della città vecchia, il Mons Táber. Le cappelle laterali raccontano infiniti santi e alludono a diversificate devozioni popolari. Magnifico, in assoluto, il coro che si trova nella navata maggiore ed è delimitato da un recinto rinascimentale, un trascoro cioè, con rilievi marmorei.
Siamo nella città vecchia e di vicolo in vicolo ci trasferiamo ad una delle nostre mete, il museo Picasso. Coda lunga, ma ci sbrighiamo in mezzora. Che passa velocissima perché nel vicolo suona una fantastica orchestrina jazz (obolo obbligatorio, troppo bravi) e dietro a noi, in una coppia, riconosciamo dall’accento la nostra identica città di provenienza, Treviso. Abitano a un chilometro da casa mia. Neanche a mettersi d’accordo.

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Il museo Picasso (11 euro più cinque di audioguida) è letteralmente imperdibile. Racconta l’evoluzione del più grande genio pittorico del Novecento dagli esordi agli esiti finali (il periodo blu, il periodo rosa, il periodo africano, il cubismo nelle sue diverse fasi e il surrealismo).
Che grande disegnatore era! Certi suoi ritratti a carboncino o a matita…
Particolarmente sottolineato e insistito il grande ciclo di opere generato dalla parafrasi pittorica de Las Meninas (Le damigelle d’onore) di Diego Velázquez.
L’audioguida aiuta a capire questa eccezionale personalità artistica, protesa verso il nuovo e profondamente innestata nella tradizione classica della sua terra.
Si capisce come Picasso sia arrivato a stravolgere le forme, nell’ansia di rappresentare un mondo in cambiamento perenne che si rispecchia nei volti delle persone osservati in contemporanea da angoli diversi. È una suggestione tremenda: l’opera di Picasso è straniante, ti porta in un altrove, ma ti lascia capire anche di essere con i piedi ben piantati per terra. Dentro il tuo tempo e il tuo luogo.
Non manca una piccola sezione dedicata a Picasso decoratore di ceramiche. Avevamo già visto molto, di questa particolare attività dell’artista di Malaga, al Palazzo dei Diamanti di Ferrara. Ricordo di aver letto da qualche parte che il padrone della fornace in cui lavorava ebbe a dire “questo ragazzo è troppo strambo, non farà mai strada”. Picasso usciva in cortile, vedeva uno scarto di lavorazione, lo prendeva in mano. Vedeva ciò che altri non immaginavano nemmeno. Aggiungeva due tocchi di colore e creava il capolavoro. Beh, insomma, di strada…
Al bookshop compero un mazzo di carte che sul dorso hanno dipinti di Picasso.

17 maggio
L’ultimo giorno è dedicato al Museu Nacional d’Art de Catalunya. Il MNAC, come si dice in forma breve. Approdiamo con il metro in Plaça de Espanya. Le scalinate attraversate da fontane dal fondo in ceramica sono lì a due passi, ma dobbiamo fare un giro lungo perché il cuore della piazza è occupato dal salone dell’automobile. Tutti gli attraversamenti preclusi. Siamo dunque sulla collina del Montjuïc, la collina che deve la sua sistemazione attuale all’Esposizione Universale del 1929.

Barcellona giace ai nostri piedi, panorama ammaliante.

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Beh, devo dire che ci sono cose che è difficile capire. Il giorno prima lunga coda davanti al museo di Picasso. Giustificatissima, come ho detto. Ma oggi (ed è domenica, giorno di ingresso gratuito! Si paga solo qualche euro per l’audioguida) il Museo Nazionale è praticamente deserto. E non manca certo di tesori da ammirare e riporre nell’anima.
Il MNAC custodisce, nelle diverse sezioni, collezioni di tutte le discipline artistiche (scultura, pittura, disegno, incisioni, poster, fotografia e numismatica). Offre una visione completa dell’arte della Catalogna nel corso della storia, dal periodo romanico al modernismo e all’avanguardia. Tra gli artisti presenti nelle collezioni spiccano El Greco, Zurbarán, Velázquez, Fortuny, Gaudí, Casas, Torres-García, Julio González, Dalí e Picasso.
Tuttavia la sezione unica e più godibile è quella amplissima dedicata agli affreschi medievali staccati dalle chiese della regione di tutti i Pirenei catalani a partire dai primi anni del Novecento. Un documentario illustra la tecnica dello strappo.
Si tratta probabilmente della più ampia collezione del genere al mondo. Ci accoglie la Lapidazione di santo Stefano che proviene dalla chiesa di Sant Joan de Bohí. E poi gli affreschi dell’abside della chiesa di Ginestarre de Cardós, dell’abside maggiore e dell’absidiola della chiesa di san Clemente di Taüll. Numerosi i frontali di altare, dipinti o scolpiti. Di grandissimo impatto la serie di statue lignee che bene rappresentano la scultura romanica. Straordinari il crocifisso proveniente da Olot, la Majestad de Eller, la Majestad Battló. Per non dire lo struggente Cristo de Escaló.
Pranziamo nel ristorante del museo con davanti la vista ampia su Barcellona. Piatto unico, le gustose tapas a base di patanegra e di un pane salato e croccante impastato nell’olio di oliva.
Torniamo a piedi in Plaça de Catalunya, e ripercorriamo la rambla. Sempre un fiume di persone e bancarelle che vendono di tutto. Non solo souvenir, insomma. Artisti di strada e le immancabili statue umane.

18 / 20 maggio
Cominciamo il ritorno. Prima di lasciare la Spagna facciamo scorta di olio, di salumi e formaggi, birre varie e altre leccornie. Sulla strada del ritorno sostiamo a Fabrègues, piccolo comune nel dipartimento dell’Hérault, regione della Linguadoca-Rossiglione (camping le Botanic); poi vicino al Lac Saint André (camping La Ferme du Lac) nei pressi di Chambéry (dipartimento della Savoia, della regione del Rodano-Alpi). Abbiamo deciso infatti di evitarci l’inferno dell’autostrada ligure e di rientrare per la galleria del Frejus (il cui transito costa ormai quasi 60 euro!). Prima di arrivare al traforo ci aspetta però una sgradevole avventura. La strada (cerchiamo di non fare autostrada, la viabilità francese normale è straordinaria e offre il vantaggio di evitare la monotonia grazie anche all’attraversamento di paesi, paesini e paesotti) è interrotta per lavori. La deviazione ci porta in pochissimi chilometri in alta montagna con tornanti stretti, ripidissimi e ridotti ad un viottolo. Incrociare qualcuno (e ovviamente capita) è un incubo. Quando incrocio un pullman devo sfidare la legge di impenetrabilità dei corpi. Non so da dove sono passato. Ma si può?

CAMPEGGI
In totale abbiamo sostato in quattro campeggi francesi e uno spagnolo. I campeggi francesi, anche quelli più piccolini e spartani, superano sempre la prova: piazzole ampie e ottimi servizi igienici. Prezzo sempre attorno ai venti euro, qualcosa più qualcosa meno, per notte. Promossi, come sempre.
In Spagna altra musica. I campeggi iberici (anche sulla base di altre esperienze) sono sempre dominati da una anarchia più o meno estesa. Peraltro, devo dire, il campeggio più bello e spazioso della mia lunga vita di viaggiatore, l’ho trovato a Lisbona.
Decisamente bocciato il camping Masnou alle porte di Barcellona.
A fronte della vicinanza al metro e dei buoni impianti igienici, vige la regola che “è piazzola dove ti metti”. Se intralci poco male, si rimedia. Quanto alla corrente elettrica servono i venti, trenta metri di cavo per raggiungere fatiscenti quadri elettrici che sfidano le più elementari regole di sicurezza. Ci si adatta e va bene.
Ma non si dovrebbero fare le guerre. A noi è capitato, al Masnou, di trovarci una sera circondati da una tendopoli di ragazzini scout. Quando l’ho detto al responsabile del camping, questi ha sollevato una geremiade (comprensibilissima anche in spagnolo) sugli Italiani intolleranti che vorrebbero sempre essere soli. Non ho perso la calma e gli ho fatto notare che non era questione di solitudine, ma di sicurezza. In caso di emergenza come faccio a muovermi con tende sulla via di fuga? La trattativa per far spostare le tende è stata lunga e francamente avvilente. Il giorno dopo al posto delle tende (ripeto, si trattava di scout) c’era un tappeto di immondizie. E tra questi alcuni picchetti che avrebbero potuto squarciare le gomme del mio camper. Non voglio dire in malafede o di proposito, però… Per trenta euro a notte si dovrebbe dare qualcosa di più.

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